Korea

Public talk al Planetario di Modena sull'Intelligenza Artificiale by Filippo Venturi

Mercoledì 27 novembre 2024, alle ore 21, sarò ospitato al Planetario di Modena dal Circolo Fotografico Colibrì BFI, in Viale Jacopo Barozzi, 31.

Parlerò di fotografia e intelligenza artificiale e dei rischi e delle potenzialità che questa tecnologia può offrire, illustrando anche i miei progetti visivi in cui ho unito fotografia e immagini generate.

Il mio intervento si inserisce in un ciclo di incontri intitolato “Oltre l’Immagine - Incontri fotografici d’autore”, che vedrà ospiti anche Tony Gentile, Luigi Ottani, Giancarlo Colombo, Franco Bragagna e Luciano Gigliotti.

Maggiori informazioni nella locandina!

Broken Mirror, visto da Federica Cerami by Filippo Venturi

Su “Ilas Magazine”, periodico digitale dedicato alla cultura della comunicazione visiva, è uscito un articolo di Federica Cerami (critica, curatrice e docente di fotografia) sul mio lavoro Broken Mirror, incentrato sulla Corea del Nord e realizzato con l’uso dell’intelligenza artificiale.

L’articolo originale è qui: LINK

Broken Mirror

Il mondo Coreano attraverso lo sguardo contemporaneo di Filippo Venturi

di Federica Cerami

Quest’anno, al Festival FotoIncontri di San Felice sul Panaro, organizzato dal Circolo Photoclub Eyes, ho avuto il gran piacere di vedere la mostra Broken Mirror del fotoreporter Filippo Venturi.

Mi sono immersa in questo racconto fotografico, perdendo la cognizione del tempo e dello spazio: nulla mi ha richiesto di ritornare, fino a quando non è iniziata la conferenza di presentazione.

Perdersi credo sia una esperienza evolutiva molto importante sia per un fruitore di fotografia che per un fotografo.

Mimmo Jodice, nella sua lectio magistralis del 2006, tenuta presso l’Università degli Studi Federico II di Napoli, disse: “C’è una frase di Fernando Pessoa che ripeto spesso perché mi rappresenta: “Ma che cosa stavo pensando prima di perdermi a guardare? Ecco la mia inclinazione naturale: perdermi a guardare, contemplare, immaginare, cercare visioni oltre la realtà…”

Venturi racconta con queste parole il suo lavoro: 

“Broken Mirror è un lavoro artistico che utilizza il linguaggio documentaristico, in cui ho fuso la mia percezione della Corea del Nord con quella di un‘intelligenza artificiale. Ho utilizzato il software Midjourney, a cui ho spiegato nel dettaglio il risultato che volevo ottenere, ripetendo l‘operazione per centinaia di volte per ogni immagine, finché non ho ottenuto un risultato simile a quello che avevo immaginato.

Ho inserito nelle scene di vita quotidiana dei nordcoreani un elemento estraneo, sotto forma di insetti che assumono dimensioni sempre più grandi e invadenti, al punto che sembrano avere il controllo sulle persone. Infine, i nordcoreani stessi si trasformano in insetti, completando così il dominio subìto”.

Con Broken Mirror entriamo nel vivo del dibattito contemporaneo, relativo all’utilizzo dell’IA, andando oltre la logica manichea che nel corso della storia dell’arte ha spesso opposto una inutile resistenza verso ogni novità creativa che si è affacciata al mondo e proviamo, invece, ad abbracciare una idea ampia di narrazione.

La narrazione, da non confondere con il racconto, porta con sé una forte componente emotiva e risulta essere, in tal senso, molto più coinvolgente e interessante.

Narrare ci aiuta a dare un senso agli eventi che altrimenti risulterebbero essere un mero elenco di vuoti accadimenti posti in ordine cronologico e ci conduce anche verso la comprensione di noi stessi e della nostra relazione con il mondo. 

Questo è un dibattito molto lungo e assai articolato, ma sostanzialmente credo che, con le mie premesse, limitare le possibilità di costruire e presentare una storia non faccia del bene né agli autori e né tantomeno ai suoi fruitori.

Perdersi, perdersi a guardare, fantasticare guardando il mondo, ricostruendolo con il proprio portato emotivo e immaginativo: lo abbiamo fatto con i dipinti, poi con la fotografia analogica, con la fotografia digitale e ora lo stiamo iniziando a fare con l’Intelligenza Artificiale.

Più osservo questi nuovi lavori fotografici e più mi viene da pensare alle incredibili potenzialità che si sono aperte e alla meraviglia alla quale possiamo andare incontro per immergerci nei nostri desiderata e portare, con noi, tutto il nostro spazio abitato.

Perché mi ha colpito e ammaliato così tanto il lavoro di Venturi? 

La sua vena espressiva nasce da una urgenza narrativa che fa di lui, da tanti anni, un affermato fotografo documentarista e un artista visivo che ha pubblicato i suoi reportage su prestigiose riviste nazionali e internazionali.

Indaga fotograficamente, dal 2015, il territorio della Corea esplorandone i fenomeni sociali e i risultati raggiunti attraverso lo sviluppo e la crescita economica, ma anche i conseguenti effetti collaterali sulla popolazione.

Quando è arrivato al desiderio di utilizzare l’AI per continuare a parlare della Corea, l’ha fatto, quindi, conoscendo molto bene tutte le dinamiche che abitano questo territorio, avendo ampiamente sperimentato lo strumento fotografico, con un profondo senso etico del suo lavoro per poi proiettarsi nel mondo della fantascienza, nella fotografia e nella letteratura del passato e con la precisa volontà, di non avere il controllo completo del suo processo creativo.

Ritorna, quindi, la meravigliosa possibilità di perdersi, ma anche di lasciarsi andare, di pescare dal proprio vissuto, di proiettarsi nelle proprie fantasie, di esprimere in modo poetico dei non detti e di abbandonare questa strana volontà di raccontare il vero che, del resto, non è mai appartenuta alla fotografia.

Broken Mirror su Cities 14 by Filippo Venturi

Sul Magazine “Cities” numero 14, è presente anche il mio lavoro “Broken Mirror”.
Maggiori informazioni qui: www.italianstreetphotography.com/cities

Questo l’elenco dei contenuti:

AROUND PEOPLE
Nana Kofi Acquah - Life is a beach
Francesca Chiacchio - Napolism
Cosmin Garlesteanu - Hometown
Hans Van Leeuwen - Miami beach

AROUND HUMANITY
Carlo Bevilaqua - Oaxaca
Efi Longinou - Togheter
Maria Pansini - Taranto must not die

AROUND PHOTOGRAPHY
Luigi Cipriano - Smart Visions
Vittorio D'Onofri - Desde Las Esquinas
Filippo Venturi - Broken Mirror

Kolga Tbilisi Photo by Filippo Venturi

Sul sito Talking Pictures è uscita una intervista a Beso Khaindrava, fondatore e direttore del Kolga Tbilisi Photo. Un festival che è cresciuto molto negli anni e che spesso ha introdotto il pubblico alle tendenze fotografiche contemporanee.

In un certo senso posso confermare questa descrizione perché la mia prima fotografia premiata ed esposta al festival, risalente al 2014, era di rugby (vedi fotografia in alto, al centro), mentre il mio ultimo lavoro premiato ed esposto nel medesimo festival è stato Broken Mirror, realizzato con l’intelligenza artificiale (e che inevitabilmente ha dato origine a qualche lamentela sui social).

In questo è racchiuso l’inizio e la situazione attuale della mia crescita; precisando che l’intelligenza artificiale la considero uno strumento con cui posso affrontare certe tematiche, ma il mio grande amore resta quella fotografia che ti permette di muoverti e incontrare le persone.

L’articolo originale con l’intervista è qui: Kolga Tbilisi Photo: The Embrace of Photography

(La foto di apertura dell’articolo e questa sono del fotografo Wolfgang Zurborn)

Broken Mirror al FASE Festival 2024 by Filippo Venturi

Il mio lavoro “Broken Mirror”, realizzato con l’aiuto di una intelligenza artificiale, sarà esposto alla 1° edizione del Festival di Arti visive a Sud Est (FASE), a Otranto (Lecce), al Castello Aragonese in Piazza Castello, dal 21 giugno al 7 Luglio, dalle ore 15 alle 23!

Saranno due settimane piene di mostre, esibizioni, talk, workshop e party in giro per la città.
La direzione artistica è a cura di Alessia Locatelli.

FASE - Manifesto

Il Festival FASE vuole parlare, non solo esporre. Non solo esporre e ammirare, ma riflettere, conoscere e soprattutto riconoscere. Riconoscere nelle immagini, stampate o in movimento, cose che esistono, che sono esistite, che possono esistere. E proiettare dentro di sé cose che esisteranno. Riconoscere il presente, riconoscere il tempo che passa. Mentre il tempo di per sé è inesorabile, il modo in cui noi lo viviamo è, letteralmente, determinante. Non è una chiusura nel materiale, ma piuttosto una ricerca del senso, riconoscendo valore esistenziale anche all’intangibile, alla fantasia, alla leggerezza, al gioco e al divertimento.

Ci interessano le persone, il modo in cui affrontano la loro esistenza, le scelte che determinano i cambiamenti, o gli adattamenti, le scelte di conservazione o resistenza. Ci interessa il senso delle cose, le cose che hanno un senso. Ci interessano le relazioni, i rapporti. Le relazioni tra persone, tra le persone e i territori, i luoghi, la natura; tra le persone e il lavoro; tra le persone e il tempo che passa; tra le persone e se stesse, con le conseguenze delle proprie scelte.

Non ci interessa l’innovazione di per sé, non ci interessa la novità di per sé, a meno che non siano portatrici di senso. Rifuggiamo la pretenziosità di chi cerca di dare un senso a qualcosa che non ce l’ha, nelle relazioni come nell’arte. Troviamo più senso in un trenino a capodanno che nella fuffa d’artista. Vogliamo che l’artista ci racconti una storia, che abbia un’idea, che conosca quello che fa vedere, che ci abbia studiato, investigato, o che almeno ci abbia pensato e riflettuto, se è solo frutto della sua immaginazione. E anche se conosciamo quello che vediamo, vogliamo che l’artista ce lo faccia vedere con occhi nuovi. Ci interessano le prospettive diverse, perché ci interessa conoscere, capire, cambiare idea. Vogliamo una storia che – almeno un po’ – ci faccia pensare. Non abbiamo paura della semplicità, della tradizione, ma della banalità. Non abbiamo paura della frivolezza, della leggerezza, della spensieratezza, che anzi sono un elemento fondamentale per un’esistenza equilibrata, ma temiamo la superficialità, la vacuità. Non abbiamo paura della provocazione se vuole sfidare il pensiero, i costumi, la morale, se è dialettica, ma detestiamo la provocazione come forma di violenza. Non abbiamo neanche paura della violenza, se è lotta e resistenza, ma combattiamo la prepotenza e la prevaricazione.

La bellezza per noi non è estetica e sensismo, astrazione intellettualistica e pretenziosità artistica, trascendentale. Cerchiamo e troviamo bellezza nel progetto, nella storia, nell’esperienza, nella manualità, nella sapienza, nella visione, nel lavoro, nelle vite vissute. Anche nella visionarietà, nel futuribile, nella prospettiva, nella direzione.

Il festival FASE è nato per riempire di nuovo senso e nuova bellezza una città che negli ultimi decenni è cambiata molto, con conseguenze importanti sulle vite degli Otrantini, e anche sulle nostre. La trasformazione di Otranto nel terzo millennio ha generato una necessaria riflessione sulla nostra identità. La nostra infanzia è lontana ma esiste: dentro di noi, nel nostro legame con questa terra, con questa città, e il confronto con essa genera un senso di incompletezza e la conseguente necessità di riempire il vuoto. Abbiamo visto un mondo di persone, di lavori, di relazioni scomparire, abbiamo visto scomparire un senso e non lo abbiamo mai accettato. 12 anni fa con amiche e amici abbiamo tappezzato la città con le gigantografie delle persone che vivono a Otranto tutto l’anno, abbiamo chiamato questo progetto “dodici mesi senza estate”. Non per puro senso identitario, di appartenenza – al contrario, ci teniamo al riparo dal campanilismo e vorremmo che Otranto torni a essere un crocevia di culture diverse – ma per riconoscere agli Otrantini il diritto di godere della propria città, di viverla tutto l’anno, e non solo di essere i custodi invernali – e gli spazzini – delle traboccanti strade d’agosto (che tra l’altro traboccano di meno ogni anno). Il festival FASE vuole restituire a Otranto senso e bellezza, cultura e riflessione, che già le appartengono. FASE vuole coinvolgere il territorio in un progetto di riscoperta del proprio senso, prima ancora che in un progetto artistico e culturale. Gli artisti che si esibiranno ed esporranno al FASE proporranno allo spettatore la propria visione del mondo, il proprio interrogativo, la propria prospettiva, ci racconteranno una storia che vale la pena di essere conosciuta. E noi arricchiremo la nostra visione, ci porremo nuovi interrogativi, saremo disposti a cambiare prospettiva o quantomeno a decentrare il nostro punto di vista.

La direzione artistica del festival è affidata a Alessia Locatelli.

Broken Mirror al Cosmo Photo Fest by Filippo Venturi

Il mio lavoro “Broken Mirror”, realizzato con l’aiuto di una intelligenza artificiale, è stato premiato nella Call for entry 2024 del “Cosmo Photo Fest” e sarà esposto all'interno del festival, che si terrà a Colleferro (Roma) dal 31 maggio 2024 al 30 giugno 2024!

Così la giuria ha motivato la scelta della selezione del lavoro di Filippo Venturi:
“La serie combina elementi di fotografia documentaria, fantascienza e scene distopiche, trasportando lo spettatore in un mondo surreale che è tragico, assurdo, divertente e terrificante allo stesso tempo. Il lavoro di Venturi mostra la natura straordinaria della società nordcoreana e il duro regime totalitario che isola il Paese. Broken Mirror è il risultato di un affascinante compromesso tra esseri umani e intelligenza artificiale e mostra in modo impressionante come l’arte e la tecnologia possano fondersi per rappresentare complesse questioni sociali. Nel complesso, questa serie merita 10 stelle per il suo concetto innovativo e la sua impressionante esecuzione”.

Vedi anche l’articolo: Insetti giganti a spasso dalla Corea del Nord alle porte di Roma


COSMO PHOTO FEST
A cura del Centro Sperimentale di Fotografia Adams
Colleferro (RM), sedi varie
dal 31 maggio al 30 giugno 2024
lun-dom 17-19
ingresso gratuito
www.cosmophotofest.it

Nell’anno 2024, nella città di Colleferro sarà realizzata la prima edizione del festival internazionale di fotografia dal titolo: COSMO – la fotografia fra scienza e arte – Il Festival è promosso e organizzato dal Centro Sperimentale di Fotografia Adams. Il Centro Sperimentale di Fotografia – Adams (C.S.F. Adams) bandisce una call for entry per fotografi italiani e non, che vogliano esporre il loro lavoro fotografico presso il festival internazionale.

TEMA CALL FOR ENTRY:
Il futuro della fantascienza? Ci viviamo dentro. […] (William Gibson)

Partendo da questa riflessione consegnataci dal noto scrittore in questa sezione troveranno ospitalità narrative fotografiche che interrogano il presente, con particolare attenzione al rapporto tra l’essere umano, la tecnologia, la scienza e la fantascienza. Complessità che si dibatte tra molteplicità ed esattezza, spazio definito dalla misura del nostro sguardo, dove tutto deve essere filtrato, reinventato, rimodulato, riscritto, rilocato, risemantizzato. Immagini che sondano confluenze, ibridazioni, interscambi, interferenze, divisioni e connessioni. È in questi spazi, in questi luoghi che ha dimora il futuro della fantascienza.

Articolo sull'Intelligenza Artificiale (parte 2) su FOTOIT by Filippo Venturi

Nel numero di febbraio 2024 di FOTOIT, nella sezione Saggistica, è uscito il mio secondo articolo sull’intelligenza artificiale, dove racconto i lavori che ho realizzato con l’aiuto di questa tecnologia! In particolare approfondisco l’idea alla base e il conseguente sviluppo dei miei progetti “Broken mirror”, sulla dittatura nordcoreana, e “He looks like you”, sulla mia famiglia.

Intervista su Arte.Go by Filippo Venturi

Sul sito Arte.Go è uscita una mia intervista a cura di Francesca Piperis, in cui si parlo dei miei progetti, compresi quelli realizzati con l’intelligenza artificiale, come “Broken mirror”, “He looks like you” e “AI and prejudice”, nei quali tocco tematiche a me care o che seguo da anni, come il vivere sotto una dittatura, la mia famiglia e i pregiudizi che limitano le libertà e i diritti di gruppi di persone.

Qui l’articolo originale: L’Intelligenza Artificiale come metafora fotografica. Intervista a Filippo Venturi


Critica sociale, creatività ed impegno politico, tre differenti dimensioni che trovano un punto d’incontro nelle opere di Filippo Venturi, fotografo documentarista italiano particolarmente interessato alla denuncia di oppressioni dittatoriali e alla difesa delle minoranze a livello globale, anche servendosi di strumenti inusuali per il suo ambito d’azione, come l’AI.

Attraverso i software di intelligenza artificiale Venturi plasma elementi che acquisiscono valore durante il processo di inserimento all’interno dei suoi progetti fotografici. L’introduzione nelle fotografie di componenti artificiali quali gli insetti di Broken Mirror – a simboleggiare le forme di oppressione sul popolo nordcoreano – equivale ad un valore aggiunto che difficilmente potrà essere scambiato per “scorciatoia”.
L’artista, infatti, descrive le fasi ed il tempo di concepimento delle sue produzioni in maniera dettagliata, dimostrando il grande impegno necessario per l’esercizio di queste nuove tecnologie. Numerose sono le pubblicazioni, gli incontri e i workshop riguardanti l’evoluzione dell’AI nell’ambiente artistico e fotografico che lo vedono protagonista, a dimostrazione del fatto che Venturi è in prima linea nella difesa di questi mezzi rivoluzionari, che certo nascondono alcune problematiche.

L’intervista

[Francesca Piperis]: Lei nasce come fotografo documentarista, legato quindi alla rappresentazione fattuale di eventi ed ambienti appartenenti alla realtà contemporanea. In che modo è giunto all’utilizzo di strumenti AI, che invece alterano la veridicità delle immagini?

[Filippo Venturi]: Oltre a essere un fotografo documentarista da ormai 13 anni, in una vita precedente mi sono laureato in Scienze dell’Informazione e quindi, per un certo periodo, ho lavorato come informatico. Di quegli anni mi è rimasta la curiosità e l’attenzione verso le novità tecnologiche, soprattutto quelle legate alle immagini. Quando nel corso degli ultimi anni i software generativi di immagini, che utilizzano l’intelligenza artificiale, hanno iniziato a poter imitare la fotografia, ho trovato la cosa molto affascinante, ma anche inquietante. Le immagini generate possono, appunto, imitare la fotografia e, nel caso di quelle fotogiornalistiche o documentaristiche, sfruttarne la credibilità. Da un lato questo è positivo perché, sebbene possa sembrare assurdo detto da uno che fa il mio mestiere, la fotografia ha goduto spesso di troppa credibilità e quindi iniziare a dubitare, a verificare, a confrontare le fonti, anche quando si parla di fotografia, è importante. Dall’altro lato però c’è il rischio che questa credibilità si perda completamente e questo sarebbe un eccesso nella direzione opposta. Quando ho iniziato a utilizzare questi strumenti, che sfruttano l’intelligenza artificiale, l’ho fatto per comprenderli, per poterci ragionare sopra e anche per generare riflessioni sul ruolo della fotografia, su come potranno convivere fotografie e immagini generate, sui rischi che ne conseguono, ma anche sulle potenzialità che questa nuova tecnologia offre.

Questa sua esigenza di raccontare la realtà in maniera fotografica scaturisce da eventi o fatti specifici della sua vita personale?

Confesso che dietro il mio approccio alla fotografia e alla necessità di raccontare storie vere, non c’è qualche ricordo o aneddoto romantico, magari legato a qualche familiare che mi abbia trasmesso questa passione. Nel mio caso è stato un processo spontaneo. Probabilmente, a un certo punto della mia vita, avevo la necessità di trovare un mezzo, un linguaggio, con cui esprimere i miei sentimenti e anche la mia parte più creativa e autoriale, e la fortuna ha voluto che incontrassi la fotografia!

Le va di descrivere le fasi di “concepimento” e successiva realizzazione della sua opera Broken Mirror? Quale riscontro ha avuto sul pubblico? Ritiene che l’AI le abbia permesso di raccontare in maniera efficace la sua idea iniziale?

La generazione di immagini ha un enorme potenziale: avrei potuto sbizzarrirmi e tentare qualunque strada. Anche improvvisarmi un fumettista, ad esempio. Quando però ho ragionato su quale progetto avrei potuto sviluppare, sono tornato alle tematiche a me care e che conosco meglio. Non volevo usare l’intelligenza artificiale soltanto come una scorciatoia, ma volevo che fosse concettualmente rilevante all’interno del progetto visivo che stavo sviluppando. In uno di questi lavori ho provato a raccontare in un modo diverso la dittatura totalitaria che caratterizza la Corea del Nord, un paese che avevo già visitato e raccontato come fotografo documentarista. Questo lavoro si intitola Broken Mirror e utilizza un linguaggio simile al mio.
L’idea alla base consiste nell’inserire nella vita quotidiana dei nordcoreani un elemento alieno e destabilizzante. Ho scelto di inserire degli insetti, dei ragni e altro ancora, che gradualmente aumentano in quantità e dimensione, fino a prendere il controllo completo sulla popolazione. Ad un certo punto i nordcoreani stessi iniziano a trasformarsi in questi insetti giganti, diventando le creature che temevano, e questo simboleggia il completamento della sottomissione. Generare le immagini, così come le avevo pensate e descritte col prompt, ha richiesto migliaia di tentativi e molta frustrazione. Il processo creativo era in gran parte affidato all’intelligenza artificiale. La selezione delle immagini era però un compromesso fra ciò che volevo ottenere e ciò che mi veniva proposto. Spesso non ho ottenuto quello che volevo. Altre volte l’intelligenza artificiale ha inserito elementi inaspettati che però ho scelto di tenere. Durante questo processo, ho realizzato che la metafora che avevo utilizzato non rappresentava soltanto la dittatura totalitaria nordcoreana, ma rappresentava la tecnologia stessa. In particolare la sua natura invasiva e controllante. Col mio lavoro ho quindi sfruttato le nuove potenzialità che l’intelligenza artificiale offre, per esprimere un timore che ho nei suoi confronti. Questo progetto è stato accolto con molto interesse, anche nel mio settore, quello fotogiornalistico, dove tendenzialmente c’è diffidenza e timore verso questa nuova tecnologia. La mia onestà verso l’osservatore – fondamentale anche quando utilizzo soltanto la fotografia – è stata sicuramente utile nel trovare ascolto, ma anche il tempismo ha giocato a mio favore visto che, a inizio anno, non c’erano molti progetti sviluppati con questa nuova tecnologia.

A differenza della precedente, l’opera fotografica He looks like you è profondamente personale, racconta infatti uno spaccato della sua vita molto commovente e si potrebbe dire distante dal quel filone “documentaristico”. Come nasce l’idea di raccontare di sé in modo così intimo all’interno della sua produzione?

A febbraio di quest’anno sono trascorsi esattamente dieci anni dalla scomparsa di mio padre Giorgio. Mio figlio Ulisse ne ha soltanto 5 e quindi non ha mai potuto conoscerlo. Questo rappresenta per me un grande rammarico. In quelle settimane ho tentato di creare delle immagini, fornendo al software generativo delle autentiche fotografie, così da tentare di ottenere una estensione dei miei album fotografici di famiglia. Desideravo vedere mio padre e mio figlio conoscersi, giocare insieme e vivere quei momenti che non hanno mai potuto condividere. Avrei potuto realizzare questo progetto ricorrendo a soluzioni già note, come ai fotomontaggi oppure alle illustrazioni, ma non sarebbe stata la stessa cosa perché avrei avuto il pieno controllo su ogni aspetto. Quando il software generativo crea l’immagine, si basa sugli input che gli si forniscono, ma in gran parte improvvisa tutti quei dettagli e quelle informazioni che invece non gli vengono date. Per spiegarmi meglio, io davo al software delle fotografie di mio padre e mio figlio e gli chiedevo di generare immagini dove quell’uomo e quel bambino giocassero assieme, ma non avevo la possibilità (per motivi diversi, compreso il fatto che questi software sono ancora acerbi) di definire ogni dettaglio e quindi, quando l’immagine veniva generata, io stesso venivo sorpreso dal risultato. Le posture, i contatti fra i corpi, la direzione in cui guardavano i volti e tanto altro erano imprevedibili. Assistevo quindi a una sorta di magia e l’imprevedibilità che caratterizzava queste immagini potevo confonderla con l’autenticità; questo mi faceva “sentire” quelle immagini ad un livello molto profondo. Chiaramente sapevo che stavo osservando momenti mai avvenuti, in luoghi mai esistiti, ma potevo abbandonarmi alla fede verso quelle immagini per qualche istante e trarne una forma di beneficio.

Uno dei progetti che maggiormente riflette le problematiche sociopolitiche attuali è sicuramente AI and prejudice. La disparità di genere, infatti, è da anni alimentata dagli algoritmi di software AI programmati al fine di censurare qualunque allusione (sessuale e non) alla nudità femminile. Ritiene che la lotta per la gender equality possa essere supportata in futuro dagli strumenti intelligenti o questi ultimi continueranno ad ostacolare questo tipo di emancipazione?

Potenzialmente questi strumenti possono essere utilizzati a fin di bene, ma è necessario che questa volontà venga sostenuta e promossa. Oggi credo sia difficile prevedere se saranno più gli effettivi benefici oppure se i problemi già presenti saranno amplificati da questi strumenti. È innegabile che le intelligenze artificiali soffrano di bias – soprattutto verso minoranze e gruppi che già sono bersaglio di pregiudizi e che lottano per veder riconosciuti i propri diritti – ma sono combattuto sul da farsi. Mantenere questi pregiudizi ci ricorda che questi problemi esistono. Rimuoverli dalle intelligenze artificiali renderebbe più giusto il mondo digitale e virtuale, ma potrebbe anche falsare la nostra percezione e convincerci che siano stati risolti anche nel mondo reale e farci quindi abbassare la guardia. Si tratta di una battaglia che deve essere affrontata anche da chi non è vittima di queste tendenze (o magari ne è persino privilegiato), ma se queste persone non vivono le problematiche sulla propria pelle e non le percepiscono più come attuali, c’è il rischio di indebolire la presa di coscienza e il movimento intero.

In alcune delle sue opere ha utilizzato il software AI Midjourney, ritiene che dal punto di vista della prestazione generativa possa sostituire o affiancare strumenti di renderizzazione di immagini digitali? Crede che vi siano delle parti o funzionalità della piattaforma che necessitano di miglioramenti o cambiamenti radicali?

In futuro non escludo che Midjourney e altri software analoghi possano sostituirsi a molti strumenti, compresi quelli di renderizzazione. In certi momenti sembra che si tratti soltanto di pochi mesi o anni per evoluzioni strabilianti, ma a volte ho la sensazione che i tempi saranno più lunghi. Tornando a Midjourney, proprio in queste ore è uscita la versione 6 e, pare, che certe cose date per assodate non siano più così solide, come ad esempio la composizione del dataset dato in pasto all’intelligenza artificiale per l’apprendimento e il fatto che questo tenga traccia delle immagini, anche coperte dal diritto d’autore. Molte sono le polemiche riguardo il suo utilizzo, attualmente. Citando Il Nome della Rosa di Umberto Eco, concludo dicendo che “per non apparire sciocco dopo, rinuncio ad apparire astuto ora. Lasciami pensare sino a domani, almeno”.

Sono numerosi, ad oggi, i pregiudizi riguardanti l’utilizzo autoriale dell’intelligenza artificiale. Questi nuovi strumenti faticano a normalizzarsi nell’ambito artistico, ha mai avuto problemi per il riconoscimento effettivo della paternità delle fotografie “artificiali”, per così dire?

Anche questa materia è ancora in fase di definizione e credo che occorrerà ancora tempo prima di avere norme a livello europeo, e non solo, che regolino questi aspetti, come il diritto d’autore. Quelle volte in cui mi è capitato di pubblicare le immagini generate con l’intelligenza artificiale sui giornali, come ad esempio sul settimanale Internazionale, non ho avuto alcun problema nel farmi riconoscere la paternità delle stesse e nel farmi retribuire per il mio apporto. Come spiegavo quando parlavo del progetto Broken Mirror, ottenere ogni immagine che lo compone ha richiesto migliaia di tentativi e nel complesso ho stimato circa 70 ore di lavoro al computer, nelle quali mi sono impegnato a immaginare e descrivere quali situazioni visive generare, a individuare dei riferimenti visivi, metaforici e simbolici che fossero utili al tema del progetto e, infine, quali risultati selezionare e quali scartare. Spesso il lavoro consisteva nel modificare, correggere e ritentare. A parer mio, se si ha un’idea o un messaggio da trasmettere e si usa lo strumento adatto per veicolarlo o per stimolare riflessioni, allora il tempo dedicatogli ha un valore, anche autoriale. Qualcuno vede nella rapidità del generare un’immagine con un’intelligenza artificiale l’assenza di questo valore. Scattare una fotografia è ancora più semplice e veloce, ma oggi quasi tutti riconoscono ad un progetto fotografico riuscito una complessità, una ricerca e una chiarezza di intenti che sono completamente slegati dalla rapidità del premere il tasto della fotocamera. In futuro mi aspetto che anche i progetti realizzati con questa nuova tecnologia, quelli riusciti intendo, vedranno riconosciuto l’aspetto autoriale.

In merito ai numerosi workshop, quali sono gli argomenti (legati certo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale) che maggiormente tratta all’interno dei suoi incontri? Su quali problematiche o funzionalità intelligenti si sofferma maggiormente?

In generale svolgo corsi e workshop sul fotogiornalismo e sulla fotografia documentaria. Da quando abbiamo a che fare con i software generativi che sfruttano l’intelligenza artificiale, ho creato nuovi corsi che descrivono la differenza abissale di approccio e sviluppo di un progetto di fotografia documentaria da quello realizzato con l’intelligenza artificiale. Da qui approfondisco poi le possibili problematiche provocate dall’inevitabile convivenza di fotografie e immagini generare. Ragiono con gli studenti e insieme confrontiamo le nostre riflessioni su come la narrazione visiva possa essere compromessa oppure arricchita da questa nuova tecnologia. Porto e analizzo alcuni casi di studio molto interessanti avvenuti negli ultimi anni e in questi mesi. Non è raro che io stesso impari qualcosa dai miei studenti, in questi corsi dove ci interroghiamo sul futuro della realtà, su come questa potrà essere testimoniata, raccontata e, in certi casi, alterata.

Concludendo le chiedo se consiglierebbe ad un giovane artista/fotografo interessato alla sperimentazione fotografica, di tentare un approccio sperimentale all’AI, in modo da padroneggiare gli strumenti che a tutti gli effetti rappresentano forse il futuro della produzione artistica.

Ad un giovane che crea e lavora a livello visivo, consiglierei di sperimentare tutto, anche l’intelligenza artificiale. Se fosse alle prime armi, però, gli consiglierei di partire da un mezzo e un linguaggio ben definito, come la fotografia (ma non solo). Partire con l’intelligenza artificiale potrebbe risultare dispersivo: ha un potenziale così elevato da poter anche confondere e demoralizzare. Avere invece dei confini ben precisi, aiuta nel seguire il proprio percorso di crescita e, ad un certo punto, a varcare quei confini.

Best 9 Instagram 2023 by Filippo Venturi

Anche quest’anno il mio best 9 di Instagram (cioè i miei post che hanno suscitato più interesse) sono una buona traccia per ricordare gli avvenimenti, che mi hanno toccato direttamente, più importanti dell’anno che volge al termine!

Ci sono 4 fotografie con cui ho documentato l’alluvione che ha colpito la mia regione, in particolare di Cesena e Forlì. Ci sono 4 immagini generate con l’intelligenza artificiale. C’è una fotografia molto tenera scattata a Seoul sul finire del 2022, ma pubblicata nel 2023.

Entrando nel dettaglio:

- La fotografia scattata a Seoul risale all’ennesimo mio viaggio nella penisola coreana, in cui ho portato a termine il terzo capitolo del mio progetto intitolato “Awakenings”, dove racconto e raccolgo le testimonianze dei nordcoreani che sono fuggiti dal regime totalitario e che oggi vivono in Corea del Sud. Info: https://t.ly/qqTMp

- Delle 4 fotografie con cui ho documentato l’alluvione: una mostra i ragazzi della comunità senegalese che sono intervenuti per aiutare i propri amici che vivono in uno dei quartieri più colpiti, ma anche gli abitanti più anziani. Sono felice di essere arrivato proprio al momento giusto, per fotografare e smentire certi luoghi comuni che si stavano diffondendo persino durante un momento così drammatico. Una seconda fotografia mostra tracce di mani infangate all’interno di una abitazione cesenate. Un’altra mostra un campetto da basket allagato e infine c’è una catasta di libri da cui ne spuntava uno il cui titolo richiama l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri: “e quindi uscimmo a riveder le stelle”. Io non ho modificato la situazione, chi ha ammassato quei libri probabilmente aveva per la testa cose più importanti che disporre quel libro in quella posizione, quindi si è trattato di una coincidenza curiosa e, in qualche modo, incoraggiante. Qui trovate altre mie fotografie dell’alluvione: https://t.ly/Q6d3b.

- Delle 4 immagini generate con l’intelligenza artificiale: una mostra la mia prima pubblicazione di questo tipo, sul settimanale Internazionale, con immagini tratte dal mio lavoro Broken Mirror; qui maggiori info: https://t.ly/360q_. Un’altra mostra mio padre Giorgio e mio figlio Ulisse passare del tempo insieme, nonostante non abbiano mai avuto l’occasione di conoscersi. Il lavoro completo si intitola He looks like you; qui maggiori info: https://t.ly/VX2ms. La terza è sempre tratta da Broken Mirror; qui maggiori info: https://t.ly/360q_. Infine, la quarta, è tratta da una provocazione che ho voluto fare, generando le ipotetiche immagini che avrebbero potuto vincere tutte le edizioni del World Press Photo, il principale premio rivolto ai fotogiornalisti; maggiori info qui: https://t.ly/oCGXs.

Broken Mirror. A dystopian guide to crossing the border by Filippo Venturi

(in italiano sotto)

From 16 to 19 November, the PhotoVogue Festival 2023 was held in Milan, whose theme was 'What Makes Us Human? Image in the Age of A.I.".
I had the pleasure of being one of the speakers, with a lecture entitled 'Broken Mirror. A dystopian guide to crossing the border', and to exhibit my project Broken Mirror, together with authors such as Charlie Engman, Jonas Bendiksen, Michael Christopher Brown and others. The group exhibition was curated by Chiara Bardelli Nonino.
More info here: PhotoVogue Festival 2023.

Below you will find the transcript of my lecture in English and Italian.

A WITNESS TO REALITY
My name is Filippo Venturi and I am a documentary photographer. My job requires being a reliable witness of reality. Through my photographic projects, I tell true stories and strive to do so honestly for those who will observe my photographs. I also have a degree in Computer Science, so over the years I have carefully observed technological innovations, especially those related to imagery. In recent months, TTI (text to image) software has made remarkable progress. Today it can generate images that effectively mimic photographs. This has prompted me to reflect on the future of coexistence between photographs and images generated with artificial intelligence.

COEXISTENCE OF PHOTOGRAPHS AND SYNTHOGRAPHS
In some areas, such as advertising photography, the advertised product was already idealised and thus distanced from reality, with physical or digital interventions. Therefore, I believe that photographs and synthographs will be indistinguishable and alternating in this field, at least for those who consume them, aware of the distance from reality. There are already advertising campaigns created without the use of photographers. Maybe only a widely echoed campaign is needed to make this phenomenon evident to everyone.

COEXISTENCE OF PHOTOJOURNALISM AND SYNTHOGRAPHY
Concerning documentary photography and photojournalism, I hope they continue to travel on a parallel track to generated images. However, I acknowledge that this might not be the case in future.
A few months ago, Amnesty International used synthographs in place of photographs to protect Colombian protesters attending a 2019 protest, to promote a cause that, for this reason, finished in the background. Those synthographs attracted a lot of controversy, despite Amnesty International explicitly stated that they had used them. Surely they chose the wrong time to do this experiment.

COULD IT BE A FAIR IDENTIKIT OF REALITY?
However, I wonder whether, in the future, the generated images could be used to make what I call 'identikit of reality'. Already today, in the absence of a photograph, a sketch of a crime suspect is made based on eyewitness descriptions. When an event happens in the future without photographers ready to document it, will we reconstruct that event in that location, with images generated with the help of possible eyewitnesses? Already with photography we cannot show the complexity of reality. What to photograph, how to frame it, which photographs to discard, etc. represent so many layers where we forfeit a slice of reality. But representing it without any contact risks distancing us even further.

BROKEN MIRROR
In recent months, I started working with artificial intelligence and generating images. With these softwares I could have created any kind of image. I could have improvised as a comic book artist for example. But in the end I came back to themes I like and know better. I didn't want to use artificial intelligence simply as a shortcut, but I wanted it to be conceptually relevant within the visual project I was developing. In one of these works, I tried to portray in a different way the totalitarian dictatorship that characterises North Korea, a country I had already visited and reported on as a documentary photographic report. This work is called Broken Mirror and uses a language that mimics a documentary style in photography. The basic idea is to insert an alien and destabilising element into the daily life of North Koreans. I chose to introduce insects and spiders, which gradually increase in quantity and size, until they take complete control over the North Koreans. At some point though, the North Koreans themselves begin to transform into these giant insects and they finally become the creatures they used to fear: this actually symbolises their complete submission.

THE INVASIVE AND CONTROLLING NATURE OF TECHNOLOGY
Generating the images the way I had conceived and described them with the prompt, required thousands of attempts and a lot of frustration. The creative process was largely in the hands of artificial intelligence.
However, the selection of images was a compromise between what I wanted to achieve and what I was offered. I did not always get what I wanted. Other times the artificial intelligence inserted unexpected elements that I chose to keep. During this process, I realised that the metaphor I had used, did not just represent the North Korean totalitarian dictatorship, but it did also represent technology itself. In particular, its invasive and controlling nature. With my work, I therefore exploited the new potential that artificial intelligence offers, to express a fear I have towards it.

BREATHING REALITY
After several months fully immersed in this technology, I felt a strong need to return to photographing people's stories. This new technology will be part of the tools l use in the future, but the quiet, solitary nights spent at the computer generating images, reminded me why, at one point in my life, I set aside my passion for computing to embrace photography. I needed to step outside, breathe in reality and eventually capture its traces with my camera.

“Broken Mirror. A dystopian guide to crossing the border“ lecture at Photo Vogue Festival, Milan, Italy, November 18, 2023.


Dal 16 al 19 novembre si è tenuto il PhotoVogue Festival 2023 a Milano, il cui tema è “What Makes Us Human? Image in the Age of A.I.“.
Ho avuto il piacere di essere uno degli speaker, con una conferenza intitolata “Broken Mirror. A dystopian guide to crossing the border”, e di esporre il mio progetto Broken Mirror, assieme ad autori come Charlie Engman, Jonas Bendiksen, Michael Christopher Brown e altri ancora. La mostra collettiva era a cura di Chiara Bardelli Nonino.
Maggiori informazioni qui: PhotoVogue Festival 2023.

Di seguito troverete la trascrizione della mia conferenza in inglese e in italiano:

UN TESTIMONE DELLA REALTÀ
Mi chiamo Filippo Venturi e sono un fotografo documentarista. Il mio lavoro consiste nell’essere un testimone attendibile della realtà. Con i miei lavori fotografici racconto storie vere e cerco di farlo con onestà verso chi osserverà le mie fotografie. Ho anche una laurea in Scienze dell’Informazione e quindi negli anni ho osservato con attenzione le novità tecnologiche, soprattutto quelle legate all’immagine.
Negli ultimi mesi i software TTI (text to image) hanno fatto progressi notevoli. Oggi possono generare immagini che imitano con efficacia le fotografie. Questo mi ha spinto a riflettere sul futuro della convivenza fra fotografie e immagini generate con l’intelligenza artificiale. 

CONVIVENZA FRA FOTOGRAFIE E SINTOGRAFIE
In alcuni settori, come la fotografia pubblicitaria, il prodotto pubblicizzato veniva già idealizzato e quindi allontanato dalla realtà, con interventi fisici o digitali. Credo quindi che fotografie e sintografie (cioè le immagini generate) saranno indistinguibili e alternabili in questo campo, almeno per chi ne fruirà, consapevole della distanza dalla realtà. Ci sono già campagna pubblicitarie realizzate senza l’uso di fotografi. Forse manca soltanto una campagna pubblicitaria che abbia una grande eco e che raggiunga le masse, per rendere evidente a tutti questo fenomeno.

CONVIVENZA FRA FOTOGIORNALISMO E SINTOGRAFIE
Per quanto riguarda la fotografia documentaria e il fotogiornalismo, mi auguro che continuino a viaggiare su un binario parallelo da quello delle immagini generate. Ma so che probabilmente non sarà così.
Pochi mesi fa Amnesty International ha utilizzato delle sintografie in sostituzione delle fotografie, per tutelare i manifestanti colombiani presenti a una protesta del 2019, per promuovere una causa che per questo motivo è finita in secondo piano. Quelle sintografie hanno attirato molte polemiche, nonostante Amnesty International avesse dichiarato esplicitamente di averne fatto uso. Sicuramente hanno scelto il momento sbagliato per fare questo esperimento.

IDENTIKIT DELLA REALTÀ
Mi domando però se, in futuro, le immagini generate potranno essere usate per realizzare quelli che io chiamo “identikit della realtà”. Già oggi, in mancanza di una fotografia, viene realizzato un identikit di un sospettato di un crimine basandosi sulle descrizioni di testimoni oculari. Quando in futuro accadrà un evento senza fotografi pronti a documentarlo, ricostruiremo quell’evento in quel luogo, con immagini generate con l’aiuto di eventuali testimoni oculari? Già con la fotografia rinunciamo alla complessità della realtà. Cosa fotografare, come inquadrarlo, quali fotografie scartare, ecc. rappresentano tanti strati in cui rinunciamo ad una fetta di realtà. Ma rappresentarla senza alcun contatto con essa, rischia di allontanarci ancora di più da essa. 

BROKEN MIRROR
Nei mesi scorsi ho iniziato a lavorare con l’intelligenza artificiale e a generare immagini. Con questi software avrei potuto realizzare qualsiasi tipo di immagine. Avrei potuto improvvisarmi fumettista, ad esempio. Ma alla fine sono tornato ai temi a me più cari e che conosco meglio. Non volevo usare l’intelligenza artificiale soltanto come una scorciatoia, ma volevo che fosse concettualmente rilevante all’interno del progetto visivo che stavo sviluppando. In uno di questi lavori ho provato a raccontare in un modo diverso la dittatura totalitaria che caratterizza la Corea del Nord, un paese che avevo già visitato e raccontato come fotografo documentarista. Questo lavoro si intitola Broken Mirror e utilizza un linguaggio che imita quello documentarista. L’idea alla base consiste nell’inserire nella vita quotidiana dei nordcoreani un elemento alieno e destabilizzante. Ho scelto di inserire degli insetti, dei ragni e altro ancora, che gradualmente aumentato di quantità e dimensione, fino a prendere il controllo completo sui nordcoreani. Ad un certo punto i nordcoreani stessi iniziano a trasformarsi in questi insetti giganti, diventando le creature che temevano, simboleggiando il completamento della sottomissione. 

LA NATURA INVASIVA E CONTROLLANTE DELLA TECNOLOGIA
Generare le immagini così come le avevo pensate e descritte col prompt ha richiesto migliaia di tentativi e molta frustrazione. Il processo creativo era in gran parte affidato all’intelligenza artificiale. La selezione delle immagini era però un compromesso fra ciò che volevo ottenere e ciò che mi veniva proposto. Spesso non ho ottenuto quello che volevo. Altre volte l’intelligenza artificiale ha inserito elementi inaspettati che però ho scelto di tenere. Durante questo processo, ho realizzato che la metafora che avevo utilizzato non rappresentava soltanto la dittatura totalitaria nordcoreana, ma rappresentava la tecnologia stessa. In particolare la sua natura invasiva e controllante. Col mio lavoro ho quindi sfruttato le nuove potenzialità che l’intelligenza artificiale offre, per esprimere un timore che ho nei suoi confronti.

EMERSIONE
Dopo alcuni mesi di full immersion in questa tecnologia, ho sentito un forte bisogno di tornare a fotografare le storie delle persone, come se ne fossi stato in astinenza. Questa nuova tecnologia farà parte degli strumenti che adopererò anche in futuro, ma le ore notturne, silenziose e solitarie passate al computer a generare immagini mi hanno ricordato perché, a un certo punto della mia vita, avevo accantonato la mia passione per l’informatica per abbracciare quella per la fotografia. Avevo bisogno di uscire e di respirare la realtà e, infine, di raccoglierne le tracce con la mia macchina fotografica.