Busan

Made in Korea, 10 anni dopo by Filippo Venturi

[English below]

Il recente suicidio di tre studentesse a Busan ha riacceso, in Corea del Sud, il dibattito sull’enorme competizione e pressione che grava sui giovani, in ambito scolastico ma non solo, e che li condiziona pesantemente, spingendoli anche a gesti tragici. Nei loro messaggi di addio, le ragazze esprimevano forti timori riguardo all’ultimo anno di liceo e a ciò che sarebbe venuto dopo.

Un'indagine del 2022, condotta su oltre 130.000 studenti dal Ministero dell'Istruzione, ha evidenziato che il 20,3% degli studenti delle medie e superiori ha pensato al suicidio, attribuendone la causa principale all’ansia per il futuro e per la carriera.

L’anno scorso, la "Legge sulla prevenzione del suicidio" ha reso obbligatorio almeno un intervento educativo annuale al benessere mentale nelle scuole di ogni ordine, ma gli esperti concordano che questo non sarà sufficiente. Il sistema educativo – con giornate scolastiche fino a 13–16 ore, frequenti lezioni serali private (hagwon) e un enorme impegno in ripetizioni – è riconosciuto da tempo come un fattore preponderante nello stress studentesco.

Secondo la psichiatra Lee Yeon-jeong, in un report del 2019, gli adolescenti coreani spesso non mostrano segnali esterni prima di compiere gesti estremi: “In Occidente gli adolescenti possono abusare di sostanze o avere comportamenti antisociali, ma in Corea chi si suicida è spesso silenzioso ed educato”. Questa discrezione è radicata nella cultura coreana, che scoraggia l’espressione delle difficoltà.

Quando nel 2014 ho iniziato a studiare gli effetti collaterali subìti dai giovani sudcoreani immersi in una società altamente competitiva e con forti pressioni sociali, anche provenienti dalla famiglia — che ho poi raccontato nel lavoro Made in Korea nel 2015 — confesso che mi sarei aspettato dei progressi 10 anni dopo, ma così non è stato. Negli anni 2020-2022, anche a causa della pandemia, il problema si era persino aggravato.

Il nuovo presidente coreano Lee Jae-myung ha dichiarato che la prevenzione del suicidio giovanile sarà una priorità nazionale, anche grazie a un rafforzamento di screening psicologici, formazione dei “gatekeeper” (insegnanti, operatori sanitari) e maggiore supporto alle famiglie. C'è da sperare che sia vero.

[Alcune fotografie dal mio lavoro Made in Korea]


The recent suicide of three female students in Busan has reignited, in South Korea, the debate over the intense competition and pressure weighing on young people—not only in the academic sphere—and how heavily it affects them, sometimes pushing them toward tragic actions. In their farewell messages, the girls expressed deep fears about their final year of high school and what would come afterward.

A 2022 survey, conducted on over 130,000 students by the Ministry of Education, revealed that 20.3% of middle and high school students had contemplated suicide, citing anxiety about the future and their careers as the main reason.

Last year, the "Suicide Prevention Act" made it mandatory for schools at all levels to provide at least one annual educational session focused on mental well-being, but experts agree that this will not be enough. The education system—with school days lasting up to 13–16 hours, frequent evening private lessons (hagwon), and a heavy load of tutoring—is widely recognized as a major contributor to student stress.

According to psychiatrist Lee Yeon-jeong, in a 2019 report, Korean teenagers often show no outward signs before taking extreme actions: “In the West, teenagers may abuse substances or display antisocial behavior, but in Korea, those who take their own lives are often quiet and well-mannered.” This discretion is rooted in Korean culture, which discourages the expression of personal struggles.

When in 2014 I began studying the side effects suffered by young South Koreans immersed in a highly competitive society with intense social pressure, including from their families - as I documented in my 2015 project Made in Korea - I expected to see some progress ten years later. But that has not been the case. Between 2020 and 2022, the issue even worsened, partly due to the pandemic.

South Korea’s new president, Lee Jae-myung, has declared that preventing youth suicide will be a national priority, including through the strengthening of psychological screenings, the training of “gatekeepers” (teachers, healthcare workers), and increased support for families. One can only hope it’s true.

[Some photographs from my project Made in Korea]

Un improbabile ritratto di famiglia by Filippo Venturi

Una famiglia aspetta di essere fotografata su un green screen a cui verrà aggiunto un paesaggio marino, all’Acquario della città portuale Busan (nella punta sud-est della Penisola). Dalla serie Made in Korea. © Filippo Venturi.

Una famiglia aspetta di essere fotografata su un green screen a cui verrà aggiunto un paesaggio marino, all’Acquario della città portuale Busan (nella punta sud-est della Penisola). Dalla serie Made in Korea. © Filippo Venturi.

Su FPmag ho scoperto una interessante analisi di una mia fotografia dal progetto “Made in Korea”, che riporto di seguito (l’articolo originale è consultabile a questo link):

Quello di Filippo Venturi sulla Corea è un progetto fotografico che ha riscosso notevole successo internazionale. La visione che le sue immagini sottendono è quella di un paese in bilico tra la consapevolezza del proprio passato e della propria cultura e l'infiltrazione sempre più pesante di abitudini culturali mutuate dall'estero. Tra le immagini più significative questa, carica di grottesca inquietudine, che vede raffigurata una famigliola in posa davanti a uno schermo verde. Ci avverte la didascalia dell'autore che sono in posa per una foto ricordo che verrà postprodotta introducendo un fondale marino.

Siamo nell'acquario della città di Busan, dove vengono realizzati dei ritratti utilizzando la tecnica del chroma key che permetterà di inserire i soggetti raffigurati su uno sfondo in genere alquanto improbabile.

Si tratta evidentemente di una pratica più ludica che fotografica, e proprio questo scatena una discrasia emotiva e interpretativa. Se osserviamo le espressioni dei soggetti con più attenzione, possiamo notare (clicca su ⊕) come le espressioni dei due adulti siano particolarmente partecipi nel fissare il vuoto in un punto fuori campo. Meno convinti appaiono i due più piccoli, i cui volti denunciano perplessità mista a un discreto livello di mal celata sopportazione. Anche loro hanno lo sguardo fisso nel vuoto. Un vuoto che fa da contrappunto al vuoto sullo sfondo.

La decontestualizzazione operata da Filippo Venturi in ripresa, con l'uso di un'inquadratura finestra, rende tutto surreale e, se si ha un minimo di coscienza di sé, anche un po' angoscioso. Una famiglia si sottopone a un rito del consumismo moderno al termine del quale il prodotto sarà un'improbabile e posticcia rappresentazione dei suoi membri cui sarà affidata la teoria di quel giorno.

Nella civiltà contemporanea l'uso dell'immagine fotografica come tramite della memoria, ancorché sempre più instabile e volatile nel suo impiego social, è di determinante importanza. Ma, sembra volerci chiedere l'autore, affidandoci ad immagini artificiose e per buona parte artificiali, quale sarà la memoria che potremo conservare? E se attraverso l'immagine di sé passa anche la coscienza degli individui, cosa ci aspetta in futuro?

Fonte: www.fpmagazine.eu