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Civiltà dei Dati — Fondazione Leonardo ETS by Filippo Venturi

Ho scritto per la rivista “Civiltà dei Dati” — pubblicata dalla Fondazione Leonardo ETS (Leonardo Company, ex-Finmeccanica) — un articolo sul processo creativo del mio progetto "He looks like you", composto da fotografie di famiglia, collage, interventi grafici e immagini generate con l'intelligenza artificiale, in cui ho immaginato l’incontro mai avvenuto fra mio padre Giorgio e mio figlio Ulisse.

Si tratta di una rivista trimestrale di divulgazione scientifica e tecnologica, che nel numero di giugno 2025, dedicato a “Gli effetti della tecnologia sulla mente”, contiene interessanti articoli e contributi da parte di personalità come Jonas Bendiksen (fotografo di Magnum e autore di "The Book of Veles"), Rita Cucchiara (autrice del libro "L'intelligenza non è artificiale"), il neuroscienziato Vittorio Gallese e tanti altri esperti.

E' consultabile gratuitamente e scaricabile qui: https://www.fondazioneleonardo.com/civilta-dei-dati

Riguardando oggi il mio lavoro He Looks Like You by Filippo Venturi

(english below)

Riguardando oggi il mio lavoro He Looks Like You — su mio padre e mio figlio e sul loro incontro mai avvenuto — mi rendo conto che oggi sarebbe molto più semplice e rapido realizzarlo rispetto a quando l’ho concepito.

I software generativi basati sull’intelligenza artificiale sono diventati più precisi, più reattivi nel restituire ciò che chiediamo loro. Se nel 2023 dovevo generare migliaia di immagini, scartandone la quasi totalità perché insoddisfatto, prima di trovarne una che funzionasse e che mi stordisse a livello emotivo, oggi potrei ottenere in pochi minuti immagini nitide e commoventi di mio padre e mio figlio insieme, quasi senza errori, con pochi prompt ben calibrati. Ma proprio questa semplicità mette in luce, per contrasto, quanto sia stato importante per me il percorso tortuoso e frustrante che ha accompagnato la nascita e lo sviluppo del progetto, diventando parte integrante dell'opera stessa.

In quelle notti infinite, fatte di tentativi sbagliati, di volti distorti e di false partenze, c’era il mio desiderio che si misurava con i suoi limiti. Ogni immagine conquistata non era solo un risultato visivo, ma l’esito di un rapporto — profondo, talvolta conflittuale — con la macchina, con la memoria, con l’assenza. La tecnologia non era uno strumento trasparente, era una presenza con cui negoziare, fallire e riprovare. E in quella frizione, in quella resistenza, si è sedimentato qualcosa di autentico: un processo che ha riflettuto la stessa impossibilità alla base del progetto, quella dell’incontro tra due persone che non si sono mai conosciute.

Paradossalmente, l’imperfezione tecnica dei software di allora mi ha restituito una verità emotiva più intensa. I volti appena riconoscibili, le forme abbozzate, i dettagli mancanti o sbagliati rispecchiavano fedelmente il carattere fragile e sfuggente del ricordo e del desiderio. Quelle immagini non cercavano la verosimiglianza assoluta, ma qualcosa di più sottile: l’eco visiva di un’assenza, il tentativo impossibile di creare l’irrealizzabile. Oggi, con strumenti più potenti, potrei generare un’illusione più convincente, ma forse meno sentita. Meno ossessiva e per questo, forse, meno sincera.

In definitiva, la fatica e la frustrazione non hanno solo accompagnato il processo: lo hanno definito. Sono state la prova che ciò che cercavo non era un’immagine perfetta, ma una forma di contatto, una presenza fragile tra le pieghe dell’impossibile. E questo contatto, proprio perché difficile e incerto, ha avuto per me un grande valore.

(il lavoro è visibile al seguente link: He Looks Like You)


Looking back today at my work He Looks Like You — about my father and my son and their never-happened meeting — I realize that today it would be much simpler and faster to create it compared to when I conceived it.

Generative software based on artificial intelligence has become more precise, more responsive in delivering what we ask of it. If in 2023 I had to generate thousands of images, discarding almost all of them because I was dissatisfied, before finding one that worked and emotionally stunned me, today I could obtain in just a few minutes sharp and moving images of my father and my son together, almost without errors, with a few well-calibrated prompts. But this very simplicity highlights, by contrast, how important the tortuous and frustrating path that accompanied the birth and development of the project was for me, becoming an integral part of the work itself.

In those endless nights, made up of failed attempts, distorted faces and false starts, there was my desire confronting its limits. Each image gained was not just a visual result, but the outcome of a relationship — deep, sometimes conflictual — with the machine, with memory, with absence. Technology was not a transparent tool; it was a presence with which to negotiate, fail, and try again. And in that friction, in that resistance, something authentic settled: a process that reflected the very impossibility at the heart of the project, that of the meeting between two people who never knew each other.

Paradoxically, the technical imperfection of the software back then gave me a more intense emotional truth. The barely recognizable faces, the sketched-out forms, the missing or wrong details faithfully mirrored the fragile and elusive nature of memory and desire. Those images did not seek absolute verisimilitude, but something more subtle: the visual echo of an absence, the impossible attempt to create the unrealizable. Today, with more powerful tools, I could generate a more convincing illusion, but perhaps one that is less heartfelt. Less obsessive and therefore, perhaps, less sincere.

Ultimately, fatigue and frustration did not merely accompany the process: they defined it. They were the proof that what I was seeking was not a perfect image, but a form of contact, a fragile presence within the folds of the impossible. And this contact, precisely because it was difficult and uncertain, had great value for me.

(the work can be viewed at the following link: He Looks Like You)

I festival di fotografia dell’estate, in Italia by Filippo Venturi

Su Internazionale si parla anche del mio lavoro "He looks like you", in mostra al Fotografia Calabria Festival, a San Lucido (CS), dal 26 luglio al 25 agosto 2024!

[...] Fotografia di famiglie è il titolo della terza edizione del festival raccontato, quest’anno, attraverso lo sguardo di dieci fotografe e fotografi. L’evento è un’occasione per riflettere sul ruolo dell’intelligenza artificiale con il progetto He looks like you di Filippo Venturi. Il suo lavoro ha come protagonisti il padre e il figlio dell’autore mentre giocano e condividono momenti insieme. Si tratta però di falsi ricordi, momenti mai esistiti in posti irraggiungibili: “Mio padre è morto cinque anni prima che mio figlio Ulisse nascesse e quindi non hanno mai avuto occasione di incontrarsi”, scrive Venturi. Il suo lavoro è “un tentativo di trovare consolazione e di superare le frontiere dell’esistenza attraverso l’arte e la tecnologia, generando immagini che fondono illusione, sogno e ricordo”.

Link all’articolo originale: I festival di fotografia dell’estate, in Italia

Articolo sull'Intelligenza Artificiale (parte 2) su FOTOIT by Filippo Venturi

Nel numero di febbraio 2024 di FOTOIT, nella sezione Saggistica, è uscito il mio secondo articolo sull’intelligenza artificiale, dove racconto i lavori che ho realizzato con l’aiuto di questa tecnologia! In particolare approfondisco l’idea alla base e il conseguente sviluppo dei miei progetti “Broken mirror”, sulla dittatura nordcoreana, e “He looks like you”, sulla mia famiglia.

He looks like you (AI) by Filippo Venturi

HE LOOKS LIKE YOU (AI)

(Work done with the use of artificial intelligence, 2023)

[il testo in italiano è sotto]

The images in this project depict my father Giorgio and my son Ulisse playing and sharing moments and experiences. They are, however, false memories. My father died five years before my son was born and so they were never able to meet. In 2023, on the 10th anniversary of Giorgio's passing, I wanted to create this small family album that combines authentic and artificial photographs (created based on real ones).
These images were generated with the use of artificial intelligence (A.I.), creating moments that never existed, in places that will never be reachable. An attempt to find consolation and overcome the frontiers of existence through art and technology, generating images that blend illusion, dream and memory.
The choice to use A.I. obviously deprived me of complete control over the final result: after providing as input some photographs and a textual request to represent Giorgio and Ulisse, I entrusted much of the creative process to the software, which processed the data completely autonomously, including misunderstandings, errors and imperfections.
In the artificial photographs, which were generated hundreds of times, Giorgio and Ulisse often look very different, sometimes the A.I. reverted my father back to the age of a child, but this did not prevent me from recognizing them thanks to some realistic details, such as facial features, wrinkles, my father's corpulent physique or whatever.
All this generated a kind of distance between me and the generated images (certainly more than there would have been if I had resorted to photomontages or illustrations), in which authenticity and unpredictability seem to blur, placing them in a limbo between reality and fiction, which I was able to believe and, in some ways, benefit from.

Le immagini di questo progetto raffigurano mio padre Giorgio e mio figlio Ulisse mentre giocano e condividono momenti ed esperienze. Si tratta però di falsi ricordi. Mio padre è morto cinque anni prima che mio figlio nascesse e quindi non si sono mai potuti incontrare. Nel 2023, al decimo anniversario dalla scomparsa di Giorgio, ho voluto creare questo piccolo album di famiglia che unisce fotografie autentiche e artificiali, queste ultime create basandosi su quelle reali.
Queste immagini sono state generate con l'uso di un'intelligenza artificiale (I.A.), creando momenti che non sono mai esistiti, in luoghi che non saranno mai raggiungibili. Un tentativo di trovare consolazione e di superare le frontiere dell'esistenza attraverso l'arte e la tecnologia, generando immagini che fondono illusione, sogno e ricordo.
La scelta di utilizzare l'I.A. mi ha ovviamente privato del controllo completo sul risultato finale: dopo aver fornito in input alcune fotografie e la richiesta testuale di rappresentare Giorgio e Ulisse, ho affidato gran parte del processo creativo al software che ha elaborato i dati in modo del tutto autonomo, inserendo anche fraintendimenti, errori e imperfezioni.
Nelle fotografie artificiali, generate centinaia di volte, spesso Giorgio e Ulisse appaiono molto diversi, a volte l’I.A. ha riportato mio padre all’età di un bambino, ma questo non mi ha impedito di riconoscerli grazie ad alcuni dettagli realistici, come i lineamenti del viso, le rughe, il fisico corpulento di mio padre o altro.
Tutto questo ha generato una sorta di distanza tra me e le immagini generate (sicuramente più di quanta ce ne sarebbe stata se fossi ricorso ai fotomontaggi o alle illustrazioni), in cui autenticità e imprevedibilità sembrano confondersi, collocandole in un limbo tra realtà e finzione, a cui ho potuto credere e, in qualche modo, trarne giovamento.

Una giornata al mare (AI) by Filippo Venturi

Alcune fotografie di mio padre mentre gioca con mio figlio.
Se ne è andato 5 anni prima che nascesse Ulisse.
Le immagini sono chiaramente imperfette e, per qualche motivo, nonostante la mia insistenza nel fornire istruzioni all'intelligenza artificiale, non sembrano fotografie reali, ma mi commuovono comunque.

Some photographs of my father playing with my son.
He left 5 years before Ulisse was born.
The images are clearly imperfect and, for some reason, despite my insistence on providing instructions to the artificial intelligence, they don't look like real photographs, but they still move me.

Un improbabile ritratto di famiglia by Filippo Venturi

Una famiglia aspetta di essere fotografata su un green screen a cui verrà aggiunto un paesaggio marino, all’Acquario della città portuale Busan (nella punta sud-est della Penisola). Dalla serie Made in Korea. © Filippo Venturi.

Una famiglia aspetta di essere fotografata su un green screen a cui verrà aggiunto un paesaggio marino, all’Acquario della città portuale Busan (nella punta sud-est della Penisola). Dalla serie Made in Korea. © Filippo Venturi.

Su FPmag ho scoperto una interessante analisi di una mia fotografia dal progetto “Made in Korea”, che riporto di seguito (l’articolo originale è consultabile a questo link):

Quello di Filippo Venturi sulla Corea è un progetto fotografico che ha riscosso notevole successo internazionale. La visione che le sue immagini sottendono è quella di un paese in bilico tra la consapevolezza del proprio passato e della propria cultura e l'infiltrazione sempre più pesante di abitudini culturali mutuate dall'estero. Tra le immagini più significative questa, carica di grottesca inquietudine, che vede raffigurata una famigliola in posa davanti a uno schermo verde. Ci avverte la didascalia dell'autore che sono in posa per una foto ricordo che verrà postprodotta introducendo un fondale marino.

Siamo nell'acquario della città di Busan, dove vengono realizzati dei ritratti utilizzando la tecnica del chroma key che permetterà di inserire i soggetti raffigurati su uno sfondo in genere alquanto improbabile.

Si tratta evidentemente di una pratica più ludica che fotografica, e proprio questo scatena una discrasia emotiva e interpretativa. Se osserviamo le espressioni dei soggetti con più attenzione, possiamo notare (clicca su ⊕) come le espressioni dei due adulti siano particolarmente partecipi nel fissare il vuoto in un punto fuori campo. Meno convinti appaiono i due più piccoli, i cui volti denunciano perplessità mista a un discreto livello di mal celata sopportazione. Anche loro hanno lo sguardo fisso nel vuoto. Un vuoto che fa da contrappunto al vuoto sullo sfondo.

La decontestualizzazione operata da Filippo Venturi in ripresa, con l'uso di un'inquadratura finestra, rende tutto surreale e, se si ha un minimo di coscienza di sé, anche un po' angoscioso. Una famiglia si sottopone a un rito del consumismo moderno al termine del quale il prodotto sarà un'improbabile e posticcia rappresentazione dei suoi membri cui sarà affidata la teoria di quel giorno.

Nella civiltà contemporanea l'uso dell'immagine fotografica come tramite della memoria, ancorché sempre più instabile e volatile nel suo impiego social, è di determinante importanza. Ma, sembra volerci chiedere l'autore, affidandoci ad immagini artificiose e per buona parte artificiali, quale sarà la memoria che potremo conservare? E se attraverso l'immagine di sé passa anche la coscienza degli individui, cosa ci aspetta in futuro?

Fonte: www.fpmagazine.eu