La questione del riarmo europeo è un tema estremamente complesso e stratificato. Di sicuro è inadatto a essere liquidato con slogan come “UE guerrafondaia” o “Von der Leyen pazza”.
Per oltre 70 anni, una larga parte dell’Europa ha goduto di una pace senza precedenti. Dal 1945 a oggi la guerra non ha più toccato il territorio degli Stati dell’Europa occidentale, il che è un risultato straordinario se si considera la storia del continente. Questo lungo periodo di stabilità è stato possibile grazie a una combinazione di fattori. L’integrazione economica, lo sviluppo del mercato comune, la progressiva interdipendenza industriale e commerciale, ma soprattutto la scelta politica di ragionare come alleati e non più come rivali.
Un elemento strutturale è stato il ruolo degli Stati Uniti nella difesa del continente. I paesi europei hanno delegato una parte sostanziale della propria sicurezza agli USA (anche tramite la NATO), i quali hanno garantito un “ombrello di sicurezza” che ha consentito agli Stati europei di ridurre la spesa militare, investendo invece nello sviluppo economico, nel welfare state, nella sanità pubblica e nei diritti sociali.
Questo equilibrio prevedeva però anche una forma di subordinazione soft, cioè una dipendenza strategica consapevole e consensuale, in cui Washington assumeva il ruolo di alleato dominante, una sorta di fratello maggiore benevolo ma pur sempre con l'ultima parola. Una relazione che Donald Trump ha progressivamente trasformato in un rapporto più ricattatorio, simile a quello di un genitore severo e minaccioso.
Alcune dichiarazioni recenti suggeriscono che Trump e Putin condividano l'interesse a un indebolimento dell'UE. Può essere che i due stiano perseguendo questo scopo per puro senso di giustizia e per generosità? O forse è utile a entrambi una UE decaduta e frammentata in 27 paesi più deboli sotto ogni punto di vista, che dovrebbero per forza cercare riparo sotto l'ala egemonica statunitense o russa o cinese?
Il nodo politico fondamentale, oggi, è quindi comprendere se l’Unione Europea desideri davvero diventare una potenza fra le potenze, capace non solo di produrre ricchezza e norme, ma anche di garantire la propria sicurezza. Questo include inevitabilmente interrogarsi su un rafforzamento della difesa comune e, nel lungo periodo, sulla creazione di un vero e proprio esercito europeo, dotato di capacità di deterrenza credibile.
Altrimenti, l’Europa continuerà a essere l’unica grande area del mondo a difendersi con le sole buone intenzioni e con la diplomazia. Ma la realtà geopolitica attuale, con guerre alle porte dell’UE, un sistema internazionale sempre più instabile e potenze revisioniste in piena espansione, suggerisce che questo approccio non sia più sostenibile (e quando lo era, vedeva comunque il braccio armato americano sullo sfondo).
L’aspetto forse più delicato riguarda però il costo della democrazia. Mantenere società pluraliste, garantire diritti sociali e civili, sostenere sistemi sanitari pubblici funzionanti, investire in istruzione, ricerca, trasparenza e stato di diritto richiede risorse ingenti. Le dittature, al contrario, possono risparmiare tagliando tutto ciò che rende una società vivibile ma non di qualità.
L’augurio, e la sfida politica più grande, è che l’Unione Europea scelga di rafforzare la propria sicurezza senza scivolare nella logica competitiva delle autocrazie. Che non rinunci ai propri valori, ai diritti dei cittadini, ai servizi pubblici o al proprio modello sociale per stare al passo con chi basa il proprio potere sulla repressione anziché sul consenso.
[L'immagine è tratta dal mio lavoro "Broken Mirror", realizzato con l'intelligenza artificiale]