Interview

Intervista per le studentesse di Girls code it better by Filippo Venturi

Oggi le ragazze di una scuola media di Forlì, che partecipano al progetto Girls code it better (coordinate da Lucia Fusillo), mi hanno intervistato circa il lavoro del fotografo che impiega anche l'intelligenza artificiale nei propri progetti

Più avanti uscirà il video con la mia intervista e quelle fatte ad altri professionisti che lavorano con la grafica 3D, il videomaking, il social media management e altro ancora!

Intervista su Arte.Go by Filippo Venturi

Sul sito Arte.Go è uscita una mia intervista a cura di Francesca Piperis, in cui si parlo dei miei progetti, compresi quelli realizzati con l’intelligenza artificiale, come “Broken mirror”, “He looks like you” e “AI and prejudice”, nei quali tocco tematiche a me care o che seguo da anni, come il vivere sotto una dittatura, la mia famiglia e i pregiudizi che limitano le libertà e i diritti di gruppi di persone.

Qui l’articolo originale: L’Intelligenza Artificiale come metafora fotografica. Intervista a Filippo Venturi


Critica sociale, creatività ed impegno politico, tre differenti dimensioni che trovano un punto d’incontro nelle opere di Filippo Venturi, fotografo documentarista italiano particolarmente interessato alla denuncia di oppressioni dittatoriali e alla difesa delle minoranze a livello globale, anche servendosi di strumenti inusuali per il suo ambito d’azione, come l’AI.

Attraverso i software di intelligenza artificiale Venturi plasma elementi che acquisiscono valore durante il processo di inserimento all’interno dei suoi progetti fotografici. L’introduzione nelle fotografie di componenti artificiali quali gli insetti di Broken Mirror – a simboleggiare le forme di oppressione sul popolo nordcoreano – equivale ad un valore aggiunto che difficilmente potrà essere scambiato per “scorciatoia”.
L’artista, infatti, descrive le fasi ed il tempo di concepimento delle sue produzioni in maniera dettagliata, dimostrando il grande impegno necessario per l’esercizio di queste nuove tecnologie. Numerose sono le pubblicazioni, gli incontri e i workshop riguardanti l’evoluzione dell’AI nell’ambiente artistico e fotografico che lo vedono protagonista, a dimostrazione del fatto che Venturi è in prima linea nella difesa di questi mezzi rivoluzionari, che certo nascondono alcune problematiche.

L’intervista

[Francesca Piperis]: Lei nasce come fotografo documentarista, legato quindi alla rappresentazione fattuale di eventi ed ambienti appartenenti alla realtà contemporanea. In che modo è giunto all’utilizzo di strumenti AI, che invece alterano la veridicità delle immagini?

[Filippo Venturi]: Oltre a essere un fotografo documentarista da ormai 13 anni, in una vita precedente mi sono laureato in Scienze dell’Informazione e quindi, per un certo periodo, ho lavorato come informatico. Di quegli anni mi è rimasta la curiosità e l’attenzione verso le novità tecnologiche, soprattutto quelle legate alle immagini. Quando nel corso degli ultimi anni i software generativi di immagini, che utilizzano l’intelligenza artificiale, hanno iniziato a poter imitare la fotografia, ho trovato la cosa molto affascinante, ma anche inquietante. Le immagini generate possono, appunto, imitare la fotografia e, nel caso di quelle fotogiornalistiche o documentaristiche, sfruttarne la credibilità. Da un lato questo è positivo perché, sebbene possa sembrare assurdo detto da uno che fa il mio mestiere, la fotografia ha goduto spesso di troppa credibilità e quindi iniziare a dubitare, a verificare, a confrontare le fonti, anche quando si parla di fotografia, è importante. Dall’altro lato però c’è il rischio che questa credibilità si perda completamente e questo sarebbe un eccesso nella direzione opposta. Quando ho iniziato a utilizzare questi strumenti, che sfruttano l’intelligenza artificiale, l’ho fatto per comprenderli, per poterci ragionare sopra e anche per generare riflessioni sul ruolo della fotografia, su come potranno convivere fotografie e immagini generate, sui rischi che ne conseguono, ma anche sulle potenzialità che questa nuova tecnologia offre.

Questa sua esigenza di raccontare la realtà in maniera fotografica scaturisce da eventi o fatti specifici della sua vita personale?

Confesso che dietro il mio approccio alla fotografia e alla necessità di raccontare storie vere, non c’è qualche ricordo o aneddoto romantico, magari legato a qualche familiare che mi abbia trasmesso questa passione. Nel mio caso è stato un processo spontaneo. Probabilmente, a un certo punto della mia vita, avevo la necessità di trovare un mezzo, un linguaggio, con cui esprimere i miei sentimenti e anche la mia parte più creativa e autoriale, e la fortuna ha voluto che incontrassi la fotografia!

Le va di descrivere le fasi di “concepimento” e successiva realizzazione della sua opera Broken Mirror? Quale riscontro ha avuto sul pubblico? Ritiene che l’AI le abbia permesso di raccontare in maniera efficace la sua idea iniziale?

La generazione di immagini ha un enorme potenziale: avrei potuto sbizzarrirmi e tentare qualunque strada. Anche improvvisarmi un fumettista, ad esempio. Quando però ho ragionato su quale progetto avrei potuto sviluppare, sono tornato alle tematiche a me care e che conosco meglio. Non volevo usare l’intelligenza artificiale soltanto come una scorciatoia, ma volevo che fosse concettualmente rilevante all’interno del progetto visivo che stavo sviluppando. In uno di questi lavori ho provato a raccontare in un modo diverso la dittatura totalitaria che caratterizza la Corea del Nord, un paese che avevo già visitato e raccontato come fotografo documentarista. Questo lavoro si intitola Broken Mirror e utilizza un linguaggio simile al mio.
L’idea alla base consiste nell’inserire nella vita quotidiana dei nordcoreani un elemento alieno e destabilizzante. Ho scelto di inserire degli insetti, dei ragni e altro ancora, che gradualmente aumentano in quantità e dimensione, fino a prendere il controllo completo sulla popolazione. Ad un certo punto i nordcoreani stessi iniziano a trasformarsi in questi insetti giganti, diventando le creature che temevano, e questo simboleggia il completamento della sottomissione. Generare le immagini, così come le avevo pensate e descritte col prompt, ha richiesto migliaia di tentativi e molta frustrazione. Il processo creativo era in gran parte affidato all’intelligenza artificiale. La selezione delle immagini era però un compromesso fra ciò che volevo ottenere e ciò che mi veniva proposto. Spesso non ho ottenuto quello che volevo. Altre volte l’intelligenza artificiale ha inserito elementi inaspettati che però ho scelto di tenere. Durante questo processo, ho realizzato che la metafora che avevo utilizzato non rappresentava soltanto la dittatura totalitaria nordcoreana, ma rappresentava la tecnologia stessa. In particolare la sua natura invasiva e controllante. Col mio lavoro ho quindi sfruttato le nuove potenzialità che l’intelligenza artificiale offre, per esprimere un timore che ho nei suoi confronti. Questo progetto è stato accolto con molto interesse, anche nel mio settore, quello fotogiornalistico, dove tendenzialmente c’è diffidenza e timore verso questa nuova tecnologia. La mia onestà verso l’osservatore – fondamentale anche quando utilizzo soltanto la fotografia – è stata sicuramente utile nel trovare ascolto, ma anche il tempismo ha giocato a mio favore visto che, a inizio anno, non c’erano molti progetti sviluppati con questa nuova tecnologia.

A differenza della precedente, l’opera fotografica He looks like you è profondamente personale, racconta infatti uno spaccato della sua vita molto commovente e si potrebbe dire distante dal quel filone “documentaristico”. Come nasce l’idea di raccontare di sé in modo così intimo all’interno della sua produzione?

A febbraio di quest’anno sono trascorsi esattamente dieci anni dalla scomparsa di mio padre Giorgio. Mio figlio Ulisse ne ha soltanto 5 e quindi non ha mai potuto conoscerlo. Questo rappresenta per me un grande rammarico. In quelle settimane ho tentato di creare delle immagini, fornendo al software generativo delle autentiche fotografie, così da tentare di ottenere una estensione dei miei album fotografici di famiglia. Desideravo vedere mio padre e mio figlio conoscersi, giocare insieme e vivere quei momenti che non hanno mai potuto condividere. Avrei potuto realizzare questo progetto ricorrendo a soluzioni già note, come ai fotomontaggi oppure alle illustrazioni, ma non sarebbe stata la stessa cosa perché avrei avuto il pieno controllo su ogni aspetto. Quando il software generativo crea l’immagine, si basa sugli input che gli si forniscono, ma in gran parte improvvisa tutti quei dettagli e quelle informazioni che invece non gli vengono date. Per spiegarmi meglio, io davo al software delle fotografie di mio padre e mio figlio e gli chiedevo di generare immagini dove quell’uomo e quel bambino giocassero assieme, ma non avevo la possibilità (per motivi diversi, compreso il fatto che questi software sono ancora acerbi) di definire ogni dettaglio e quindi, quando l’immagine veniva generata, io stesso venivo sorpreso dal risultato. Le posture, i contatti fra i corpi, la direzione in cui guardavano i volti e tanto altro erano imprevedibili. Assistevo quindi a una sorta di magia e l’imprevedibilità che caratterizzava queste immagini potevo confonderla con l’autenticità; questo mi faceva “sentire” quelle immagini ad un livello molto profondo. Chiaramente sapevo che stavo osservando momenti mai avvenuti, in luoghi mai esistiti, ma potevo abbandonarmi alla fede verso quelle immagini per qualche istante e trarne una forma di beneficio.

Uno dei progetti che maggiormente riflette le problematiche sociopolitiche attuali è sicuramente AI and prejudice. La disparità di genere, infatti, è da anni alimentata dagli algoritmi di software AI programmati al fine di censurare qualunque allusione (sessuale e non) alla nudità femminile. Ritiene che la lotta per la gender equality possa essere supportata in futuro dagli strumenti intelligenti o questi ultimi continueranno ad ostacolare questo tipo di emancipazione?

Potenzialmente questi strumenti possono essere utilizzati a fin di bene, ma è necessario che questa volontà venga sostenuta e promossa. Oggi credo sia difficile prevedere se saranno più gli effettivi benefici oppure se i problemi già presenti saranno amplificati da questi strumenti. È innegabile che le intelligenze artificiali soffrano di bias – soprattutto verso minoranze e gruppi che già sono bersaglio di pregiudizi e che lottano per veder riconosciuti i propri diritti – ma sono combattuto sul da farsi. Mantenere questi pregiudizi ci ricorda che questi problemi esistono. Rimuoverli dalle intelligenze artificiali renderebbe più giusto il mondo digitale e virtuale, ma potrebbe anche falsare la nostra percezione e convincerci che siano stati risolti anche nel mondo reale e farci quindi abbassare la guardia. Si tratta di una battaglia che deve essere affrontata anche da chi non è vittima di queste tendenze (o magari ne è persino privilegiato), ma se queste persone non vivono le problematiche sulla propria pelle e non le percepiscono più come attuali, c’è il rischio di indebolire la presa di coscienza e il movimento intero.

In alcune delle sue opere ha utilizzato il software AI Midjourney, ritiene che dal punto di vista della prestazione generativa possa sostituire o affiancare strumenti di renderizzazione di immagini digitali? Crede che vi siano delle parti o funzionalità della piattaforma che necessitano di miglioramenti o cambiamenti radicali?

In futuro non escludo che Midjourney e altri software analoghi possano sostituirsi a molti strumenti, compresi quelli di renderizzazione. In certi momenti sembra che si tratti soltanto di pochi mesi o anni per evoluzioni strabilianti, ma a volte ho la sensazione che i tempi saranno più lunghi. Tornando a Midjourney, proprio in queste ore è uscita la versione 6 e, pare, che certe cose date per assodate non siano più così solide, come ad esempio la composizione del dataset dato in pasto all’intelligenza artificiale per l’apprendimento e il fatto che questo tenga traccia delle immagini, anche coperte dal diritto d’autore. Molte sono le polemiche riguardo il suo utilizzo, attualmente. Citando Il Nome della Rosa di Umberto Eco, concludo dicendo che “per non apparire sciocco dopo, rinuncio ad apparire astuto ora. Lasciami pensare sino a domani, almeno”.

Sono numerosi, ad oggi, i pregiudizi riguardanti l’utilizzo autoriale dell’intelligenza artificiale. Questi nuovi strumenti faticano a normalizzarsi nell’ambito artistico, ha mai avuto problemi per il riconoscimento effettivo della paternità delle fotografie “artificiali”, per così dire?

Anche questa materia è ancora in fase di definizione e credo che occorrerà ancora tempo prima di avere norme a livello europeo, e non solo, che regolino questi aspetti, come il diritto d’autore. Quelle volte in cui mi è capitato di pubblicare le immagini generate con l’intelligenza artificiale sui giornali, come ad esempio sul settimanale Internazionale, non ho avuto alcun problema nel farmi riconoscere la paternità delle stesse e nel farmi retribuire per il mio apporto. Come spiegavo quando parlavo del progetto Broken Mirror, ottenere ogni immagine che lo compone ha richiesto migliaia di tentativi e nel complesso ho stimato circa 70 ore di lavoro al computer, nelle quali mi sono impegnato a immaginare e descrivere quali situazioni visive generare, a individuare dei riferimenti visivi, metaforici e simbolici che fossero utili al tema del progetto e, infine, quali risultati selezionare e quali scartare. Spesso il lavoro consisteva nel modificare, correggere e ritentare. A parer mio, se si ha un’idea o un messaggio da trasmettere e si usa lo strumento adatto per veicolarlo o per stimolare riflessioni, allora il tempo dedicatogli ha un valore, anche autoriale. Qualcuno vede nella rapidità del generare un’immagine con un’intelligenza artificiale l’assenza di questo valore. Scattare una fotografia è ancora più semplice e veloce, ma oggi quasi tutti riconoscono ad un progetto fotografico riuscito una complessità, una ricerca e una chiarezza di intenti che sono completamente slegati dalla rapidità del premere il tasto della fotocamera. In futuro mi aspetto che anche i progetti realizzati con questa nuova tecnologia, quelli riusciti intendo, vedranno riconosciuto l’aspetto autoriale.

In merito ai numerosi workshop, quali sono gli argomenti (legati certo allo sviluppo dell’intelligenza artificiale) che maggiormente tratta all’interno dei suoi incontri? Su quali problematiche o funzionalità intelligenti si sofferma maggiormente?

In generale svolgo corsi e workshop sul fotogiornalismo e sulla fotografia documentaria. Da quando abbiamo a che fare con i software generativi che sfruttano l’intelligenza artificiale, ho creato nuovi corsi che descrivono la differenza abissale di approccio e sviluppo di un progetto di fotografia documentaria da quello realizzato con l’intelligenza artificiale. Da qui approfondisco poi le possibili problematiche provocate dall’inevitabile convivenza di fotografie e immagini generare. Ragiono con gli studenti e insieme confrontiamo le nostre riflessioni su come la narrazione visiva possa essere compromessa oppure arricchita da questa nuova tecnologia. Porto e analizzo alcuni casi di studio molto interessanti avvenuti negli ultimi anni e in questi mesi. Non è raro che io stesso impari qualcosa dai miei studenti, in questi corsi dove ci interroghiamo sul futuro della realtà, su come questa potrà essere testimoniata, raccontata e, in certi casi, alterata.

Concludendo le chiedo se consiglierebbe ad un giovane artista/fotografo interessato alla sperimentazione fotografica, di tentare un approccio sperimentale all’AI, in modo da padroneggiare gli strumenti che a tutti gli effetti rappresentano forse il futuro della produzione artistica.

Ad un giovane che crea e lavora a livello visivo, consiglierei di sperimentare tutto, anche l’intelligenza artificiale. Se fosse alle prime armi, però, gli consiglierei di partire da un mezzo e un linguaggio ben definito, come la fotografia (ma non solo). Partire con l’intelligenza artificiale potrebbe risultare dispersivo: ha un potenziale così elevato da poter anche confondere e demoralizzare. Avere invece dei confini ben precisi, aiuta nel seguire il proprio percorso di crescita e, ad un certo punto, a varcare quei confini.

Intervista su Business People by Filippo Venturi

Su Business People di dicembre è uscita una mia intervista a cura di Francesca Amè!
Questa intervista, assieme a quelle di altri 2 fotografi - Cristina Coral e Manfredi Gioacchini - rientra nell’inserto annuale “La forma della bellezza”. Nel mio caso, esprimo il mio punto di vista sul rapporto fra fotografia documentaria e bellezza.

Intervista su Class Magazine by Filippo Venturi

Sull'ultimo numero di Class Magazine è uscito un interessante articolo, a cura di Elena Correggia, sulla relazione fra fotografia a intelligenza artificiale, con interviste al sottoscritto e ad altri fotografi che hanno fatto ricorso all'uso di questa tecnologia per esprimere timori, dubbi e perplessità sull'I.A., sull'autorialità delle immagini prodotte e sull'evoluzione del linguaggio fotografico!

Intervista su Bird in Flight by Filippo Venturi

Sul magazine ucraino “Bird in Flight” è uscito un articolo-intervista sui miei lavori fotografici sulle dittature, superate e non, di cui fa parte anche il mio ultimo progetto visivo “Broken Mirror”, realizzato con una intelligenza artificiale.

L’articolo originale è raggiungibile qui: Життя комах: Повзуча диктатура Північної Кореї

Intervista su Foto Cult by Filippo Venturi

Sul magazine di fotografia Foto Cult è uscita una mia intervista, a cura di Francesca Orsi, sul mio ultimo lavoro "Broken Mirror", sull'utilizzo di software come Midjourney e altro ancora!

Questo il link all’articolo originale:
Filippo Venturi “collabora” con l’intelligenza artificiale: nasce “Broken Mirror”

Filippo Venturi “collabora” con l’intelligenza artificiale: nasce “Broken Mirror”

In anteprima assoluta l’intervista al fotografo che ha sperimentato Midjourney, un software IA, per concretizzare le sue visioni sulla penisola coreana. Di Francesca Orsi, 3 Marzo 2023.

Filippo Venturi è un fotografo documentarista particolarmente interessato al tema dell’identità e della condizione umana. Abbiamo fatto due chiacchere con l’autore a proposito del suo Broken Mirror, progetto che si discosta nettamente dal suo approccio tradizionale e che è stato creato mediante l’utilizzo del software di produzione di immagini Midjourney.

Con Broken Mirror, una tua recente sperimentazione visiva, hai usato l’intelligenza artificiale, nello specifico Midjourney, per produrre le immagini. Ce ne racconti il funzionamento nel dettaglio, comprese le criticità che può avere?

Midjourney è uno dei software di produzione di immagini che hanno raggiunto una considerevole notorietà negli ultimi tempi. Partendo da una descrizione testuale fornita da una persona, è capace di generare immagini grazie a una intelligenza artificiale (IA). Attraverso un prompt, l’utente (definito prompter, suggeritore) può inserire un testo, di poche parole o di diverse righe, in cui descrive lo scenario da creare, quali elementi lo popolano, le caratteristiche dell’immagine, il formato e così via. Il software poi elabora l’input ricevuto e, in base alla libreria di immagini con cui l’IA si è allenata, offre all’utente un risultato visivo. Questi software sono attualmente in versione beta, sperimentale, ma hanno già aperto grandi riflessioni e interrogativi su come potranno stravolgere il mondo della creatività, dell’arte, della comunicazione e dell’informazione. Oggi le immagini generate possono soffrire di alcuni difetti, ma è questione di poco tempo prima che vengano risolti.

Oltre al realismo del risultato prodotto, desta preoccupazione anche la facilità di utilizzo, proprio come è accaduto alla nascita della fotografia. Anche in questo caso si teme possa causare la scomparsa di alcune forme d’arte come la pittura, l’illustrazione e il fumetto. Analogamente al mestiere del fotografo, che a fatica è uscito dalla banale percezione di essere qualcuno che si limita a premere un tasto per essere riconosciuto come autore e artista, viene ora messo in discussione l’apporto di coloro che si avvalgono di questi strumenti informatici.

A livello creativo è interessante notare che, al momento, alcune restrizioni sono imposte dalle stesse software house che spesso censurano alcune parole che esprimono gesti violenti, atti sessuali oppure le accettano nella descrizione escludendole però dalla creazione visiva. L’origine du monde, del pittore Gustave Courbet, oppure L’esecuzione di Saigon, del fotogiornalista Eddie Adams, non sarebbero riproducibili, ad esempio.

Presto l’IA sarà in grado di produrre immagini, video, voci e testi di qualità tale da essere indistinguibili dall’opera degli esseri umani portando con sé potenziali problemi, come il loro utilizzo per creare fake news, un settore florido già oggi. Credo che la realtà e l’informazione corretta assumeranno ancora più valore in futuro ma, al momento, ho l’impressione che molti non siano disposti a investirci denaro, restando in balìa di presunte notizie che puntano a scandalizzare, fomentare e dividere le persone.

Qual è la storia che racconta Broken Mirror e da dove nasce?

Dal 2015 ad oggi ho usato la fotografia, fra le altre cose, per raccontare la penisola coreana, i fenomeni sociali che la caratterizzano, gli obiettivi raggiunti da Corea del Nord e del Sud, ma anche gli effetti collaterali. Nella mia indagine visiva ho spesso adottato un approccio documentaristico, a volte fotogiornalistico, astenendomi in tutti i casi dal manipolare le immagini. Spesso definisco il mio lavoro come “un testimoniare la realtà”, consapevole che anche il più scrupoloso e onesto dei fotografi non possa che alterarla nel momento in cui sceglie cosa fotografare e, poi, quali fotografie comporranno il suo lavoro che sarà mostrato al pubblico. Questo è inevitabile. L’impossibilità di rappresentare in modo assoluto la realtà non può però giustificarne l’ulteriore manipolazione volontaria, almeno se si vuole essere dei testimoni attendibili.

Nel progetto Broken Mirror, che è un lavoro artistico che usa il linguaggio documentaristico, ho fuso la mia visione della Corea del Nord con quella di una intelligenza artificiale. Partendo da scene di vita quotidiana di nordcoreani, ho inserito un elemento estraneo, sotto forma di insetti che assumono dimensioni sempre più grandi e invadenti, al punto che sembra abbiano il controllo sulle persone, le quali, ad un certo punto, si trasformano a loro volta in insetti, completando il dominio subìto.

Il progetto risulta molto cinematografico. Quali sono state le influenze che ti hanno fatto pensare a delle immagini del genere?

L’idea alla base di questo progetto si rifà, appunto, al mio lavoro di fotografo documentarista sulla Corea, ma anche alla fascinazione verso scenari fantascientifici e distopici, alla fotografia in bianco e nero di grandi fotografi del passato, come Robert Capa, ma anche all’alterazione fisica del corpo nei film di David Cronenberg.

In un certo senso, ho attinto al mio database personale di immagini, video, riflessioni, suggestioni e paure, forse in un modo non troppo distante da quello che ha compiuto l’intelligenza artificiale per assembleare le immagini che desideravo, spesso inserendo elementi imprevisti o su cui non avevo il controllo completo. Broken Mirror è quindi il risultato di un compromesso, tra me e l’IA, dove l’eccezionalità della società nordcoreana, fortemente influenzata da uno dei regimi totalitari più duri al mondo, che isola di fatto il paese e i suoi abitanti, viene raffigurata attraverso l’inserimento di un elemento alieno, in una sorta di metamorfosi kafkiana.

Nel panorama fotografico l’utilizzo dell’intelligenza artificiale sta producendo pareri contrastanti, anche per una questione di copyright. Cosa ne pensi?

Le librerie sterminate di immagini che compongono i database dati in pasto alle intelligenze artificiali per “allenarsi”, sono spesso raccolte indiscriminatamente dal web o da archivi senza averne l’autorizzazione oppure con una autorizzazione fornita dagli utenti in tempi in cui ancora non era immaginabile questo tipo di utilizzo.

Proprio in questi giorni lo United States Copyright Office ha negato a Kristina Kashtanova la registrazione del copyright di una graphic novel che aveva generato con Midjourney. In particolare è stato ritenuto che le immagini create non avessero un elemento di “paternità umana” sufficiente da finire sotto copyright. In poche parole, l’intervento umano è stato considerato marginale, paragonabile alle direttive che un cliente potrebbe fornire a un artista. Il documento ufficiale riconosce a Kashtanova la paternità della storia e la scelta dell’ordine della sequenza delle immagini, ma non delle singole immagini. Sarà interessante vedere come verrà disciplinata questa tecnologia e se altri enti e altri paesi prenderanno in considerazione o meno questa decisione.

Pensi che Broken Mirror sia solo una sperimentazione per te o intravedi anche una connessione con il tuo pensiero fotografico e i tuoi lavori passati?

Amo sperimentare e provare soluzioni originali. Fino ad oggi l’ho sempre fatto rimanendo all’interno di una fotografia che si prefiggeva di rappresentare eventi e fenomeni sociali impiegando punti di vista o approcci che, seppur diversi dai soliti, rimanessero fedeli alla realtà. Non so ancora dove mi condurrà questo strumento, ma è interessante che il mio primo esperimento abbia riguardato un approccio metaforico alla realtà, rendendo subito evidente allo spettatore l’artificio, sollecitandone l’aspetto evocativo, senza però scollegarsi completamente dal vero. Forse Broken Mirror è stata la reazione più fedele che potevo avere verso il mio pensiero fotografico e i lavori che ho realizzato.


Intervista radiofonica Radio Ca' Foscari by Filippo Venturi

Lunedì 17 ottobre, alle ore 20.30, su Radio Ca’ Foscari (la web radio degli studenti dell'Università Ca' Foscari di Venezia) interverrò nel programma radiofonico Arte(s)fatti, ospite di Nicola Bustreo, per parlare per un’oretta della mia esperienza come fotografo documentarista e anche di attualità!

Avrò l’onore di seguire ospiti illustri come Guido Guidi, Massimo Vitali, Paolo Ventura, Luca Campigotto, Francesca Mannocchi e tanti altri, che il programma radiofonico ha ospitato nelle settimane passate.

Questo il link all’evento Facebook: ARTEsFATTI #26 - Filippo Venturi
Questo invece il link a Radio Ca’ Foscari: https://www.unive.it/pag/34507/

Arte(s)fatti è un programma radiofonico che parla e racconterà della contemporaneità nell’arte. Artisti, curatori, direttori, comunicatori, e ancora professionisti del mondo artistico; ma anche mostre e progetti che sono arte, e che attraverso di essa creano connessioni con le nostre vite. Un grande lab radiofonico per parlare di attualità artistica. Un progetto di Nicola Bustreo curatore e direttore artistico di Emotion Hall Arena ma irrimediabilmente "open source" per artisti, studiosi e tutti i professionisti dell’arte.

Intervista per il Resto del Carlino by Filippo Venturi

Sul Resto del Carlino di oggi (domenica 24 ottobre 2021) trovate l'intervista che Maddalena De Franchis mi ha fatto sul lavoro "L'arte di saltare nel buio", uscito di recente sul Washington Post e D La Repubblica!

Intervista su Rolling Stone by Filippo Venturi

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Su Rolling Stone è uscito un bell’articolo di Francesca Orsi in cui mi intervista a proposito del lavoro che ho svolto sulla Corea del Nord e del Sud.

Questo è il link all’articolo originale:
‘Korean Nature’, l’atlante fotografico delle due Coree

Questo progetto è diventato anche un libro, edito da Emuse, di cui potete trovare tutte le info a questo link:
Korean dream, made in Korea - Il Libro

Web Talk "Aperitivo Fotografico" by Filippo Venturi

Lunedì 13 aprile sono stato ospite dell’Aperitivo Fotografico organizzato da Andrea Bonavita e Roberta Invidia. Nel web talk ho parlato di fotografia, dei miei 3 progetti sul Coronavirus realizzati da casa e che sono stati pubblicati di recente (The Guardian, The Washington Post) e tanto altro.

L’incontro fa parte di una serie di web talk ospitati su #CartolinedaforliTV.
Questo il link alla pagina facebook ufficiale: Cartoline da Forlì & dintorni