Laboratorio

Mostra fotografica "People Have The Power" by Filippo Venturi

Lo Spazio Espositivo PR2 di Ravenna ospiterà, dal 25 ottobre al 7 novembre 2021, la mostra fotografica “PEOPLE HAVE THE POWER”, frutto della collaborazione tra il Comune di Ravenna e il Liceo Scientifico “A. Oriani” nel progetto “A scuola di cittadinanza”. Il progetto rappresenta un’occasione di coinvolgimento per gli studenti della città.

Il laboratorio fotografico, che li ha visti accompagnati dal fotografo documentarista Filippo Venturi, ha permesso loro di realizzare un percorso incentrato sulle elezioni amministrative 2021 della città di Ravenna. Attraverso uno sguardo fresco e spontaneo, si mostrano i comizi elettorali dei singoli candidati, il cambiamento visivo dei panorami cittadini e il primo voto di una nuova cittadinanza.

PEOPLE HAVE THE POWER
Mostra fotografica del laboratorio “A scuola di cittadinanza”

Inaugurazione lunedì 25 ottobre ore 17.30
Aperta dal 25 ottobre al 7 novembre 2021
Martedì a sabato nell’orario 15-19. Domenica negli orari 10-12 e 15-19
PR2 - Palazzo Rasponi 2, Via M. D’Azeglio 2 - Ravenna

Qui l’evento Facebook:
PEOPLE HAVE THE POWER - Mostra fotografica del progetto "A scuola di cittadinanza"

Anteprima delle fotografie realizzate durante il laboratorio

Il momento decisivo, di Filippo Venturi

Il laboratorio fotografico “A scuola di cittadinanza”, frutto della collaborazione tra il Comune di Ravenna, il Liceo Scientifico “A. Oriani” e il sottoscritto, nel ruolo di docente, ha coinvolto circa cinquanta studenti del quarto anno, durante il periodo delle elezioni amministrative, fra settembre e ottobre 2021.

La finalità era promuovere la creatività giovanile e sensibilizzare il rapporto dei giovani con la politica, in un’epoca in cui la partecipazione politica è sempre più in calo, come conferma un recente report dell’ISTAT secondo cui, nel giro di cinque anni, la quota di persone con 14 anni o più che non partecipa alla vita politica è passata dal 18,9% al 23,2%. Inoltre, questa partecipazione avviene soprattutto in modo indiretto, cioè informandosi o parlandone (74,8%) e poco per via attiva (8,0%).

Il percorso è iniziato con un incontro nel quale è stato introdotto il linguaggio fotografico e, in particolare, il suo potenziale e la possibilità di sviluppare progetti che richiedono di certo un buon occhio e la capacità di cogliere l’attimo, ma anche una fase iniziale di ragionamento e ricerca di idee.

I protagonisti, ragazzi e ragazze ad un passo dalla maggiore età, si sono trovati ad esplorare ben due territori nuovi, il primo era quello del linguaggio con cui comunicare, il secondo era quello dei riti politici che si svolgono durante una campagna elettorale e su come questi influenzino spazi e persone.

Il laboratorio, per sua natura, ha lo scopo di lavorare su più livelli: il primo era fornire le basi per approfondire un linguaggio, quello fotografico, ormai a disposizione di tutti, ma le cui grandi potenzialità rimangono spesso in ombra. Il secondo livello era condividere il percorso durante la lavorazione con il sottoscritto, con le insegnanti coinvolte, Emanuela Serri e Rossella Giovannini e con i lavoratori del Comune, al fine di stimolare riflessioni e scambi di vedute. Il terzo livello, infine, che racchiude l’intera esperienza, era la speranza di coltivare un seme che potesse un giorno crescere e portare alla luce una nuova consapevolezza della complessità del mondo, delle sue debolezze e dei mezzi che la democrazia mette a nostra disposizione per affrontarle.

I progetti realizzati dagli studenti si sono focalizzati sulla documentazione di quei giorni, sulle trasformazioni subìte dalla città, sul confronto con i ragazzi e le ragazze che per la prima volta si sarebbero recati alle urne per esprimere il proprio voto. Per fare tutto questo gli studenti sono ricorsi al ritratto, alla fotografia di strada, alla fotografia di paesaggio, ma anche alla provocazione e alla critica, in modo autonomo, sintomo di una sensibilità già sviluppata e arguta, pronta per maturare.

Come diceva un noto politico del passato: Se i giovani si organizzano, si impadroniscono di ogni ramo del sapere e lottano con i lavoratori e gli oppressi, non c’è scampo per un vecchio ordine fondato sul privilegio e sull’ingiustizia.

Fotografie dal backstage del laboratorio

Fotografie del backstage dell’allestimento della mostra

Intervista con Emuse sul Laboratorio My Dear by Filippo Venturi

E’ uscito sul sito della Casa Editrice emuse, una intervista nella quale parlo dell’ultimo libro fatto insieme, “My Dear”, che contiene il risultato del Laboratorio fotografico omonimo che ho condotto, in collaborazione con l’associazione Between, nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Questo laboratorio ha visto protagoniste 20 donne di 9 nazionalità diverse!

L’articolo originale è disponibile qui: emuse incontra Filippo Venturi nella veste di insegnante e divulgatore di progetti fotografici

IL LIBRO

Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter

Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

L’INTERVISTA

Filippo Venturi ha recentemente organizzato un laboratorio fotografico in collaborazione con l’associazione Between nell’ambito del progetto europeo Shaping Fair Cities. Il laboratorio ha coinvolto venti donne di diverse nazionalità residenti in Romagna e dai loro lavori è nato un libro edito da emuse: My Dear.

Grazia Dell’Oro l’ha intervistato.

Filippo, durante questo ultimo anno, nonostante la situazione pandemica, sei stato molto attivo. Hai prodotto lavori che sono stati pubblicati su importanti riviste. In che modo questa nuova situazione che stiamo vivendo ti ha stimolato?
Inizialmente la pandemia ha rappresentato un blocco: oltre a dover rinunciare ad un grosso progetto in Cina, molti eventi che avrei dovuto documentare solo saltati. Per fortuna, pochi giorni dopo l’inizio del primo lockdown in Italia, qualcosa è scattato dentro di me e ho iniziato a documentare la pandemia sotto tutti i punti di vista che ritenevo interessanti. Solitamente non lavoro sulla stretta attualità, ma in questo caso mi sono trovato proprio al centro dell’attualità (l’Italia è stato il primo paese occidentale a subire i primi gravi effetti del Covid-19). Il primissimo lavoro che ho svolto è stato ritrarre e intervistare 40 rider sul cancello di casa mia; un’idea semplice ma efficace per adattarmi ai limiti imposti dal lockdown e che ha colpito molto i photoeditor di The Guardian che gli hanno dato ampio spazio. Poi, spinto dai primi buoni risultati, ho continuato la mia documentazione anche all’esterno, nel mio quartiere, in ospedale, nelle case dei malati, nel settore teatrale, ecc. e sono arrivate pubblicazioni su The Washington Post, Marie Claire, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, ecc. È stata una esperienza molto formativa e positiva. Sono soddisfatto della reazione che ho avuto: tentare di rimanere lucido e attivo. Penso che ciò mi abbia permesso anche di non subire troppo gli effetti psicologici negativi di questo evento epocale.

My Dear è stato pensato come laboratorio di fotografia partecipativa. Come è nato e quale è stato l’intento del lavoro che hai condotto con le donne che hanno aderito?
Da alcuni anni mi è capitato di essere coinvolto, da parte di alcune Associazioni con cui avevo già collaborato, in alcuni progetti finanziati dall’Unione Europea o da altri Enti statali. È un settore che, se sfruttato a dovere (non a caso ci sono professionisti che si specializzano nel cercare questi bandi e nel preparare i progetti), consente di accedere a risorse importanti per sviluppare percorsi molto utili a livello sociale e anche artistico. Il laboratorio My Dear nasce all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities ed ha come finalità perseguire l’obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030, cioè “raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Credo che si possa dire che gli esiti del laboratorio sono stati superiori alle aspettative, per qualità e coerenza dei lavori fotografici. Quando ti sei reso conto che, in qualche modo, l’idea aveva attecchito?
In una prima fase mi ha colpito notevolmente la partecipazione delle venti donne che si sono interessate al laboratorio. Con la pandemia che colpiva ripetutamente il paese e rendeva impossibile condurre una vita sociale normale, mi ero rassegnato a veder ridursi il numero delle partecipanti, invece c’è stato uno spirito di adattamento notevole: se non potevamo incontrarci di persona, organizzavamo delle webcall, se non tutte riuscivano ad essere presenti, organizzavamo delle sessioni dedicate in qualunque giorno della settimana e orario. Se nemmeno quello era possibile, usavamo Whatsapp per comunicare, vedere il materiale prodotto e confrontarci. A livello umano è stata una esperienza incredibile e questo desiderio comune di portare a termine il percorso iniziato insieme avrebbe rappresentato già un grande traguardo. Poi, vedendo il frutto dei loro progetti, pur non essendo fotografe esperte, mi rendo conto che il risultato è andato oltre ogni aspettativa!

Come intendi sviluppare le esperienze che stai raccogliendo come insegnante o animatore di gruppi che hanno come obiettivo l’indagine sul tema dell’identità attraverso il mezzo fotografico?
Fino a qualche anno fa non mi vedevo a tenere corsi di fotografia (ero molto concentrato su di me e i miei progetti) eppure, assecondando alcune richieste, ho scoperto che mi piace insegnare. Lo stesso è accaduto con questi laboratori dove, oltre all’insegnamento, c’è una fase importante di incontro e conoscenza con i partecipanti e sviluppo di progetti individuali che però siano legati da un filo conduttore. Ho ricevuto diverse proposte per continuare a lavorare anche in questo settore e un paio di progetti saranno avviati questa estate e nel prossimo autunno. Anche questi li sento ormai come “miei progetti”, semplicemente sono svolti come se io e i partecipanti fossimo una sorta di collettivo.

Filippo, ci siamo conosciuti in occasione dei tuoi lavori Made in Korea & Korean Dream, un ambizioso progetto che intendeva mettere in relazione e a confronto le due Coree, gli esiti differenti di una storia tanto comune quanto, da un certo momento in poi, divergente. Come senti quei due lavori a qualche anno di distanza?
Sono lavori che stanno invecchiando bene. Le tematiche su cui ho focalizzato i due capitoli del progetto, uno sulla Corea del Sud e l’altro su quella del Nord, sono ancora molto attuali e i lavori, pur a distanza di diversi anni, stanno attirando ancora attenzioni, riconoscimenti e proposte espositive (alcune sono in sospeso, in attesa di capire come svolgerle compatibilmente con l’emergenza sanitaria). Sicuramente rappresentano un passaggio importante nel mio percorso di fotografo documentarista e anche come autore. A proposito, nel corso dell’ultimo anno mi sono annotato diversi temi e fenomeni, sempre riguardanti la penisola coreana, che vorrei approfondire e non escludo di tornarci nel prossimo futuro!

Filippo Venturi è nato a Cesena nel 1980. Fotografo documentarista. Realizza progetti su storie e problematiche riguardanti l’identità e la condizione umana. I suoi lavori sono stati pubblicati su giornali come The Washington Post, The Guardian, Financial Times, Newsweek, Geo, Vanity Fair e Internazionale. Negli ultimi anni si è dedicato a un progetto sulla penisola coreana. Insegna fotografia e conduce workshop fotografici nell’ambito di diversi progetti europei.

Con emuse ha pubblicato Made in Korea & Korean Dream.

E' uscito il libro sul Progetto My Dear by Filippo Venturi

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Fotografie di: Barbara Kulik, Graziella Paganelli, Ilaria Liu, Ilaria Zozzi, Khadija M'Goun, Kinga Paprota, Livia Cartas, Lorenza Fabbio, Mariama Dieng, Marina Bellavista, Nadiia Kovalchuk, Salomè Emperatriz San Martin, Svetlana Mocanu, Yujuan Chen.

Testi di:
Luciana Garbuglia (presidente dell’Unione Rubicone e Mare), Valeria Gentili (presidente dell’Associazione di promozione sociale Between), Elena Dolcini (Curatrice e Critica d’arte), Filippo Venturi (Fotografo e Docente del laboratorio)

Casa editrice Emuse, ISBN: 978-88-32007-42-8
Direttore editoriale: Grazia Dell’Oro
Coordinamento editoriale: Filippo Venturi
Progetto grafico: Denis Pitter


Il laboratorio “My Dear”, inserito all’interno del Progetto europeo Shaping Fair Cities, è stato rivolto a venti donne che vivono in Romagna (a Savignano sul Rubicone, Cesenatico, Sant'Angelo di Gatteo, San Mauro Pascoli e Gatteo) e coinvolte dall’Associazione Between. Le protagoniste sono di nove nazionalità diverse (italiana, rumena, polacca, bulgara, ucraina, cinese, peruviana, senegalese e marocchina), hanno un range di età che va da 22 a 65 anni e lavorano in diversi ambiti: assistenti familiari, impiegate, operaie, mediatrici culturali, bariste, ecc.

La finalità del laboratorio era il perseguimento dell’Obiettivo 5 dell’Agenda ONU 2030: “raggiungere l'uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze”.

Alle donne coinvolte nella realizzazione di un proprio progetto fotografico, sono state assegnate delle macchine fotografiche usa e getta con rullini da 27 scatti (con alcune eccezioni dettate da scelte tematiche o visive che hanno richiesto l'uso di altri mezzi). Questa scelta è stata dettata dal desiderio di fornire uno strumento di lavoro dedicato, che non fosse fonte di distrazione (come può essere uno smartphone) e col quale fosse necessario fermarsi a riflettere prima di fotografare, avendo un numero predefinito di tentativi. Avere delle limitazioni (di spostamento a causa della pandemia, di numero di scatti realizzabili, ecc.) spinge le persone a prendere coscienza della situazione e a ingegnarsi per trovare una via per esprimersi.

Il laboratorio è stato avviato nell’autunno 2020 ed è durato circa sei mesi. L’ideazione e la progettazione risalivano a dodici mesi prima, quando ancora le nostre vite non erano state stravolte dal Covid-19. La pandemia ha trasformato questo percorso rendendolo tortuoso e mettendone a rischio il raggiungimento del traguardo ma, presto, ha reso più coeso il gruppo, consentendogli di attraversare la tempesta e uscirne rafforzato.

La condivisione delle difficoltà nel periodo di emergenza sanitaria, gli stratagemmi digitali per mantenere il contatto anche quando il lockdown impediva di incontrarsi, il desiderio di raccontare con la fotografia le proprie vite, ha portato a un risultato profondo e interessante. Come spesso accade, le esperienze più segnanti sono quelle che si portano a termine fra imprevisti e difficoltà.

I progetti realizzati si sono focalizzati su storie personali, confidenze, ma anche sui rapporti sociali che abbiamo dovuto rivedere a causa del distanziamento sociale e dei dispositivi per prevenire il contagio. Da questo percorso è scaturito un universo di testimonianze costellato da sensibilità distinte, provenienze diverse, approcci disparati, ma tutte convergenti nel bisogno di ricevere e offrire, oggi più che mai, ascolto, comprensione e vicinanza.

Lo strumento fotografico per un lungo periodo è stato riservato a pochi professionisti. Da diverso tempo però si è assistito a un rapido processo di “democratizzazione” della fotografia. Chiunque può scattare una fotografia, anche senza strumentazione specifica, e può avere un ruolo da protagonista nel flusso comunicativo. Non solo, con le fotografie si può contribuire ad attivare processi sociali e influenzare la percezione pubblica.

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Laboratorio Fotografico by Filippo Venturi

Foto di Barbara Kulik

Nonostante la pandemia, i lockdown e altre complicazioni, negli ultimi 6 mesi siamo riusciti a condurre un laboratorio fotografico e a tenerlo unito (fra incontri di persona, webcall, telefonate, chat e altro), coinvolgendo 20 donne di 9 nazionalità diverse.
Ce l'abbiamo messa tutta e pensiamo di aver compiuto un piccolo ma importante passo sul (purtroppo lungo) percorso che porterà al raggiungimento dell'uguaglianza di genere e dell'emancipazione di donne e ragazze, perseguendo il programma dell’Agenda ONU 2030. Uscirà anche un libro che raccoglierà il frutto del lavoro di tante persone. Presto maggiori dettagli sulle istituzioni e le persone che hanno reso possibile il tutto!

Laboratorio di Esplorazione Fotografica by Filippo Venturi

Laboratorio di Esplorazione Fotografica

Un corso di tecnica fotografica e non solo: un’esperienza per scoprire luoghi e persone attraverso la fotografia. Racconteremo i quartieri coinvolti nel progetto Linee di rigenerazione a cura di Spazi Indecisi, ragionando sul concetto di fotografia documentaria e sviluppando un progetto fotografico teorico e pratico.

Il Laboratorio è rivolto ai fotografi principianti, ai professionisti e a chi volesse semplicemente avvicinarsi alla fotografia, in un periodo in cui l’immagine è sempre più al centro della comunicazione e della nostra quotidianità. Ragioneremo sul concetto di Fotografia Documentaria al giorno d’oggi e sullo sviluppo teorico e pratico di un progetto. I partecipanti realizzeranno, assieme al docente, progetti fotografici individuali, con lo scopo di esplorare il quartiere, unendo più punti di vista, e dando nuova voce all’identità di questi spazi e alle persone che ci vivono e li attraversano.


★ A cura di Filippo Venturi
Fotografo documentarista. I suoi lavori sono pubblicati su The Washington Post, Financial Times, Newsweek, Vanity Fair, Der Spiegel, Internazionale e Geo. www.filippoventuri.photography

★ Destinatari
Il laboratorio è per tutti, dal semplice appassionato al professionista.

★ Dove
EXATR | Via Ugo Bassi, 16 Forlì

★ Calendario
4 lezioni in aula nei giorni lunedì 2, 9, 16, 23 dicembre, dalle 21:00 alle 23:00
1 uscita fotografica il 15 dicembre, dalle 09:00 alle 11:00

★ Cosa serve
Blocknotes, macchina fotografica oppure smartphone con fotocamera.

★ Quota di partecipazione
La quota di partecipazione al laboratorio è di 50 euro (da pagare anticipatamente via Paypal o bonifico bancario, che sarà fornito via mail).

★ Info e iscrizioni
Per la partecipazione è richiesta l’iscrizione anticipata a spaziindecisieventi@gmail.com ed è fissato un numero massimo di 15 persone.

Calendario Laboratorio

1° Lezione – Lunedì 2 dicembre 2019, orario 21:00 - 23:00

  • Presentazioni del docente e degli iscritti.

  • Introduzione al Fotogiornalismo e alla Fotografia Documentaria.

  • Sviluppo teorico e pratico di un progetto attraverso 5 fasi (ricerca di una storia, organizzazione preliminare, fase di scatto, editing e post-produzione, diffusione).

  • Panoramica sui lavori del docente.

  • Assegnazione agli iscritti dei progetti da svolgere in modo autonomo fra una lezione e la successiva (con possibilità di consultarsi col docente via whatsapp o email)

2° Lezione – Lunedì 9 dicembre 2019, orario 21:00 - 23:00

  • Visione delle immagini realizzate dagli iscritti.

  • Analisi di gruppo delle immagini (consigli e correzioni su come proseguire).

  • Panoramica sui lavori del docente e/o visione di lavori di altri autori per ispirare, dare idee e continuare la comprensione del lavoro fotografico progettuale.

Uscita fotografica – Domenica 15 dicembre 2019, orario 09:00 - 11:00

  • Uscita fotografica col docente nei quartieri coinvolti nel progetto Linee di rigenerazione.

3° Lezione – Lunedì 16 dicembre 2019, orario 21:00 - 23:00

  • Visione delle immagini realizzate dagli iscritti.

  • Analisi di gruppo delle immagini (consigli e correzioni su come proseguire).

  • Panoramica sui lavori del docente e/o visione di lavori di altri autori per ispirare, dare idee e continuare la comprensione del lavoro fotografico progettuale.

4° Lezione – Lunedì 23 dicembre 2019, orario 21:00 - 23:00

  • Visione delle immagini realizzate dagli iscritti.

  • Definizione della forma finale dei progetti degli iscritti.

  • Conclusioni e chiusura dei lavori.

  • Brindisi di fine laboratorio!

E il mare concederà a ogni uomo nuove speranze, in mostra a Cesena! by Filippo Venturi

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E IL MARE CONCEDERÀ A OGNI UOMO NUOVE SPERANZE
Mostra fotografica a cura di Filippo Venturi
Anteprima del laboratorio fotografico con i ragazzi rifugiati e richiedenti asilo del Progetto Accoglienza dell’ASP Cesena Valle Savio

Apertura: Venerdì 23 Giugno 2017, dalle ore 18
Periodo della mostra: Dal 23 Giugno al 23 Luglio 2017
Sede: Complesso ex-Roverella, Via Strinati, 59 - Cesena (FC)
Orario di apertura: 23, 24 e 25 Giugno, dalle ore 18 alle ore 24; in seguito dal lunedì al venerdì, dalle ore 9 alle ore 18. Ingresso libero

L'organizzazione della mostra, nell'ambito dell'evento "Cortili Aperti 2017", è a cura dell'ASP Cesena Valle Savio, in collaborazione con Bibliostelle, Istituto di Cultura Musicale Arcangelo Corelli, Conservatorio Bruno Maderna, Associazione Musica Meccanica Italiana, Associazione Il Cigno, Project Work Italia, Team Service, L'Aquilone di Iqbal e con il patrocinio del Comune di Cesena.

 

IL PROGETTO

Cerca la foto in mezzo ai documenti frusti, infilati nella giacca. La trova.
Nel porgerla, ci stampa sopra il pollice.
Quasi deliberatamente, come un gesto di possesso.
Una donna o forse un bambino.
La foto definisce un'assenza.
Anche se è vecchia di dieci anni, non fa differenza.
Tiene aperto, preserva lo spazio vuoto che, se tutto va bene, la presenza della persona ritratta un giorno tornerà ad occupare.
La ripone immediatamente nella tasca e senza darle neanche un'occhiata.
Come se la sua tasca ne avesse bisogno.

- "Il Settimo Uomo", John Berger, Jean Mohr

La bulimia mediatica legata al fenomeno migratorio ha col tempo sepolto l'identità delle persone e offuscato l'empatia verso le necessità e i desideri di chi ha dovuto abbandonare la propria casa e attraversare il mondo alla ricerca dei propri sogni.
Gli unici momenti in cui l'individuo emerge dall'anonimato dai numeri è quando diventa (due volte?) vittima.

Un padre, Osama al-Abdelmohsen, attraversa di corsa il confine serbo-ungherese con il proprio figlio piccolo, Zaid, in braccio; ha già percorso quasi 3.000 km e dovrà affrontarne altri 2.000 per giungere alla sua destinazione, la Spagna. Quel giorno però, lo sgambetto della videoreporter ungherese Petra Laszlo, con conseguente caduta, viene ripreso e fa il giro del mondo.
E' servito quello sgambetto per convincerci a fermarci e a osservare; per un attimo padre e figlio sono stati riconosciuti come tali e non come numeri o come invasori.
E' servita l'immagine di Aylan Kurdi, 3 anni, adagiato sulla sabbia e senza respiro, per comprendere cosa significa morire nel tentativo di raggiungere una vita migliore. Per un attimo certe affermazioni che incitano a lasciarli affondare in mare sono emerse in tutta la loro assurdità.

La Fotografia si presta alla contemplazione, a recuperare l'azione premeditata e scelta dell'osservazione, verso ciò che solitamente è un guardare istintivo e frenetico.

La scopo di questo laboratorio - ancora in corso e che prevede anche la raccolta di testimonianze e storie - consiste nel restituire una identità ai ragazzi rifugiati e richiedenti asilo del Progetto accoglienza dell'ASP Cesena Valle Savio.
Hanno scelto di partecipare, aprendosi e mostrandosi, non a livello burocratico, ma a livello umano, verso la città che li ospita e che merita di osservare coi propri occhi e non attraverso l'eco di slogan bianchi o neri.

Una selezione di immagini neutre, dall'archivio ASP, come le fototessere realizzate ai ragazzi al loro arrivo in città; una selezione di ritratti realizzati da un fotografo che ha iniziato a conoscerli e riconoscerli; una selezione di selfie, forma bistrattata di fotografia che svolge un importantissimo e non riconosciuto ruolo sociale, sostituendosi al diario, surrogando la parola; una selezioni di immagini degli ambienti che frequentano e altro ancora.

In questa anteprima è presentata una selezione di fotografie che innalzano un potenziale ponte sul quale, chi vorrà, potrà procedere per avvicinarsi allo sconosciuto, al presunto diverso, forse sorprendendosi e rispecchiandosi.
L'integrazione avviene su due versanti, se da un lato c'è chi porge la mano, dall'altra occorre qualcuno che la accolga nella propria.

 

IL CURATORE

Filippo Venturi (Cesena, 1980) è un fotografo documentarista italiano.
Si dedica inoltre a progetti artistici e personali su temi, storie e problematiche che ritiene interessanti da approfondire.
I suoi reportage sono stati pubblicati su diversi magazine e quotidiani come The Washington Post, Die Zeit, Internazionale, La Stampa, Geo, Marie Claire, Vanity Fair, Gente, D di Repubblica, Io Donna / Corriere della Sera.
Nel 2015 ha realizzato il progetto "Made in Korea", sulla Corea del Sud, che è stato esposto al Centro Italiano della Fotografia d’Autore di Bibbiena, al Foro Boario di Modena come "Nuovo Talento" di Fondazione Fotografia Modena, al MACRO – Museo d’Arte Contemporanea di Roma nell’ambito della selezione "Emerging Talents" e alla Somerset House di Londra a seguito del premio ricevuto ai Sony World Photography Awards.
Nel 2017 è stato inviato da Vanity Fair in Corea del Nord, dove ha realizzato il reportage "Korean Dream", completando così il suo progetto sulla penisola coreana.

 

Lo spazio espositivo, prima dei lavori di pulizia e allestimento.

Lo spazio espositivo, prima dei lavori di pulizia e allestimento.