Racconto

Raymond Carver, Viewfinder by Filippo Venturi

Mirino

Un uomo senza mani bussa alla mia porta per vendermi una foto della mia casa. A parte gli uncini cromati, è un uomo sulla cinquantina dall’aspetto ordinario.
“Come ha perso le mani?” chiedo, dopo aver saputo cosa voleva.
“Quella è un’altra storia” dice lui “La vuole questa foto o no?”.
“Venga dentro” dico io “Ho appena fatto il caffè.”
Ho appena fatto anche della gelatina alla frutta. Ma non glielo dico.
“Approfitto della toilette, se posso.” Dice l’uomo senza mani.
Voglio vedere come riesce a tenere una tazza. Già so come fa con la macchina fotografica. È una vecchia Polaroid, grande e nera. La tiene legata a delle cinghie di pelle che gli passano oltre le spalle e si incrociano sulla schiena, così che la fotocamera sia assicurata sul petto. Si piazza sul marciapiede di fronte alla vostra casa, centra la casa nel mirino, preme il bottone con uno degli uncini, ed ecco che salta fuori la fotografia.
L’ho osservato dalla finestra, capite?
“Dove ha detto che si trova il bagno?”
“Giù di là, a destra.”
Piegandosi, ingobbendosi tutto, riesce a liberarsi dalle cinghie. Mette la fotocamera sul divano e si rassetta la giacca.
“Può dare un’occhiata a questa nel frattempo.”
Prendo la fotografia che mi porge. Si vede un rettangolino di prato, il vialetto, il garage, le scalette d’ingresso, la finestra panoramica e la finestra della cucina, dalla quale l’ho osservato.
Mi chiedo perché dovrei volere un’istantanea di questa tragedia.
Guardo un po’ più da vicino e vedo la mia testa, la mia testa, dentro la finestra della cucina.
Vedermi lì, così, mi ha fatto riflettere. Ve lo assicuro, sono cose che fanno riflettere.
Sento il rumore dello sciacquone. Arriva nel salotto, sorridendo e chiudendosi la lampo, un uncino che tiene la cintura, l’altro che piega la camicia.
“Cosa ne pensa allora?” dice “Non male, no? Secondo me è venuta bene. Sono bravo, eh? Ammettiamolo, ci vuole un professionista.”
Si sistema il cavallo dei pantaloni.
“Ecco il suo caffè.” Dico.
Lui dice: “Lei vive da solo, giusto?”.
Osserva il soggiorno. Scuote la testa.
“È dura, è dura.” Dice.
Si siede accanto alla fotocamera, appoggia la schiena con un sospiro e sorride, come se sapesse qualcosa che non mi avrebbe rivelato.
“Beva il caffè” dico io.
 Sto cercando qualcosa da dire.
“Tre ragazzini sono passati da qui, volevano dipingere il mio indirizzo sul marciapiede. Chiedevano un dollaro per farlo. Non è che lei ne sa qualcosa?”.
L’ho sparata un po’ a caso, ma lo osservo bene lo stesso.
Si china in avanti, serio in volto, la tazza in equilibrio tra gli uncini. La appoggia sul tavolino.
“Lavoro da solo” dice “sempre fatto, sempre lo farò. Cosa sta cercando di dire?” dice.
“Pensavo ci fosse un collegamento.” Dico io.
Ho mal di testa. So che il caffè non aiuta, ma la gelatina di frutta a volte sì. Riprendo in mano la fotografia.
“Ero in cucina” dico “di solito sto sul retro.”
“Succede sempre,” dice lui “quindi hanno preso e l’hanno lasciata, giusto? Ora guardi me, io lavoro solo. Allora cosa ne dice? La vuole la fotografia?”
“Si, la compro” dico.
Mi alzo e raccolgo le tazze.
“Certo che la compra.” Dice lui “Io, per esempio, ho una stanza in centro. Niente di che. Salgo su un autobus, faccio il giro della periferia, e quando ho finito il lavoro mi sposto in un’altra città. Capisce cosa le sto dicendo? Una volta avevo dei figli. Proprio come lei.”
Aspetto con le tazze in mano e lo guardo lottare per alzarsi dal divano.
Dice: “Loro mi hanno ridotto così.”
Osservo con attenzione quegli uncini.
“Grazie per il caffè e per il bagno. Io la capisco, sa.”
Solleva e abbassa i suoi uncini.
“Me lo dimostri” dico io “Mi dimostri quanto. Faccia altre foto, a me e alla casa.”
“Non funzionerà,” dice l’uomo “Loro non torneranno.”
L’ho aiutato lo stesso con le cinghie.
“Posso farle un’offerta speciale,” dice lui “Tre per un dollaro. Se le faccio di meno ci rimetto.”
Usciamo fuori. Lui mette a punto l’otturatore. Mi dice dove sistemarmi e iniziamo il lavoro.
Ci muoviamo intorno alla casa. Meticolosamente. A volte mi metto di profilo, altre volte guardo dritto l’obiettivo.
“Bene,” dice lui “Così va bene,” dice, fino a quando non terminiamo il giro della casa e siamo di nuovo davanti all’ingresso. “Ne ho fatte venti. Sono abbastanza.”
“No,” dico io “Sul tetto” dico.
“Gesù,” dice lui. Dà un’occhiata su e giù per la strada. “Come no,” dice “ora fa sul serio!”
Dico: “Baracca e burattini, tutto. Se ne sono andati con tutto.”
“Guardi questi!” dice l’uomo, sollevando di nuovo gli uncini.
Vado dentro e prendo una sedia. La sistemo vicino al garage. Ma non è alta abbastanza. Allora prendo una cassa e la metto sulla sedia.
Si sta bene in cima al tetto.
Mi alzo in piedi e mi guardo intorno. Saluto e l’uomo senza mani mi fa un cenno con gli uncini.
Poi vedo dei sassi. C’è come un piccolo nido di sassi tutt’attorno al camino. Sapete i bambini, si divertono a tirarli lassù pensando di centrare il camino.
“Pronto?” faccio io e prendo un sasso e aspetto fino a quando non mi vede nel mirino.
“Pronto!” risponde lui.
Porto il mio braccio all’indietro e urlo: “Ora!” Tiro quel figlio di puttana più lontano che posso.
“Non so,” lo sento gridare “Non faccio mai foto in movimento.”
“Ancora!” urlo io e prendo un altro sasso.


Viewfinder

A man without hands came to the door to sell me a photograph of my house. Except for the chrome hooks, he was an ordinary­looking man of fifty or so.
“How did you lose your hands?” I asked after he’d said what he wanted.
“That’s another story,” he said. “You want this picture or not?”
“Come in, “I said. “I just made coffee.”
I’d just made some Jell­y, too. But I didn’t tell the man I did. “I might use your toilet,” the man with no hands said.
I wanted to see how he would hold a cup.
I knew how he held the camera. It was an old Polaroid, big and black. He had it fastened to leather straps that looped over his shoulders and went around his back, and it was this that secured the camera to his chest. He would stand on the sidewalk in front of your house, locate your house in the viewfinder, push down the lever with one of his hooks, and out would pop your picture.
I’d been watching from the window, you see.
“Where did you say the toilet was?”
“Down there, turn right.”
Bending, hunching, he let himself out of the straps. He put the camera on the sofa and straightened his jacket.
“You can look at this while I’m gone.”
I took the picture from him.
There was a little rectangle of lawn, the driveway, the carport, front steps, bay window, and the window I’d been watching from in the kitchen.
So why would I want a photograph of this tragedy?
I looked a little closer and saw my head, my head, in there inside the kitchen window.
It made me think, seeing myself like that. I can tell you, it makes a man think.
I heard the toilet flush. He came down the hall, zipping and smiling, one hook holding his belt, the other tucking in his shirt.
“What do you think?” he said. “All right? Personally, I think it turned out fine. Don’t I know what I’m doing? Let’s face it, it takes a professional.”
He plucked at his crotch. ”
Here’s coffee, “I said.
He said, “You’re alone, right?”
He looked at the living room. He shook his head.
“Hard, hard,” he said.
He sat next to the camera, leaned back with a sigh, and smiled as if he knew something he wasn’t going to tell me.
“Drink your coffee,” I said.
I was trying to think of something to say.
“Three kids were by here wanting to paint my address on the curb. They wanted a dollar to do it. You wouldn’t know anything about that, would you?”
It was a long shot. But I watched him just the same.
He leaned forward importantly, the cup balanced between his hooks. He set it down on the table.
“I work alone,” he said. “Always have, always will. What are you saying?” he said.
“I was trying to make a connection,” I said.
I had a headache. I know coffee’s no good for it, but sometimes Jell­y helps. I picked up the picture.
“I was in the kitchen,” I said. “Usually I’m in the back.”
“Happens all the time,” he said. “So they just up and left you, right? Now you take me, I work alone. So what do you say? You want the picture?”
“I’ll take it,” I said.
I stood up and picked up the cups.
“Sure you will,” he said. “Me, I keep a room downtown. It’s okay. I take a bus out, and after I’ve worked the neighborhoods, I go to another downtown. You see what I’m saying? Hey, I had kids once. Just like you,” he said.
I waited with the cups and watched him struggle up from the sofa.
He said, “They’re what gave me this.”
I took a good look at those hooks.
“Thanks for the coffee and the use of the toilet. I sympathize.” He raised and lowered his hooks.
“Show me,” I said. “Show me how much. Take more pictures of me and my house.”
“It won’t work,” the man said.
“They’re not coming back.” But I helped him get into his straps.
“I can give you a rate,” he said. “Three for a dollar.” He said, “If I go any lower, I don’t come out.”
We went outside. He adjusted the shutter. He told me where to stand, and we got down to it.
We moved around the house.
Systematic. Sometimes I’d look sideways. Sometimes I’d look straight ahead.
“Good,” he’d say. “That’s good,” he’d say, until we’d circled the house and were back in the front again. “That’s twenty. That’s enough.”
“No,” I said. “On the roof,” I said.
“Jesus,” he said. He checked up and down the block. “Sure,” he said. “Now you’re talking.”
I said, “The whole kit and caboodle. They cleared right out.”
“Look at this!” the man said, and again he held up his hooks.
I went inside and got a chair. I put it up under the carport. But it didn’t reach. So I got a crate and put the crate on top of the chair.
It was okay up there on the roof.
I stood up and looked around. I waved, and the man with no hands waved back with his hooks.
It was then I saw them, the rocks. It was like a little rock nest on the screen over the chimney hole. You know kids. You know how they lob them up, thinking to sink one down your chimney.
“Ready?” I called, and I got a rock, and I waited until he had me in his viewfinder.
“Okay!” he called.
I laid back my arm and I hollered, “Now!” I threw that son of a bitch as far as I could throw it.
“I don’t know,” I heard him shout. “I don’t do motion shots.”
“Again!” I screamed, and took up another rock.

Viaggio in Irlanda by Filippo Venturi

GIORNO 1 - Il primo volo di Ulisse

Avendo un volo notturno, la speranza era che avrebbe dormito buona parte delle 2 ore e 45 minuti di viaggio. Era, appunto.
Nei vari tentativi di accontentare la sua smania di muoversi e curiosare c'è stato il farlo camminare lungo il corridoio dell'aereo, ma dopo pochi secondi la passeggiata è diventata una rincorsa dove io vestivo i panni di Willy il Coyote.
Fra schiamazzi e gemiti di Ulisse, "ingiustamente" legato alla cintura di sicurezza, ogni tanto notavo la signora alla mia sinistra gettare occhiate disperate verso le file posteriori, in cerca di un sedile libero.
Nei momenti in cui Ulisse osservava dal finestrino si percepiva il suo desiderio di smontare le ali per esaminarle al millimetro. Magari per verificare "l'Effetto Venturi" (esiste davvero, per qualche bizzarro motivo me lo ricordo dai tempi della scuola).
Alla fine ha ceduto alla stanchezza, negli ultimi 10 minuti di volo, addormentandosi addosso a me e, grazie a questo momento di tenerezza, a farsi perdonare tutti i guai precedenti.
Già in Puglia qualche settimana fa e pure nella giornata di oggi, mi sono riconosciuto in quelle famiglie che osservavo da giovanissimo, un po' sgangherate e un po' imbarazzanti, per via delle difficoltà nello star dietro a tutto e dei bambini che testavano la pazienza dei genitori.
Che ti facevano pensare: "Io? Non sarò mai cosi!".
Oggi però so che ne vale la pena.

GIORNO 2 - Il verde di Irlanda

Appena sveglio, Ulisse ha finalmente potuto vedere per la prima volta il verde irlandese (l'arrivo in piena notte l'aveva impedito), soffermandosi a osservarlo ed emettendo piccoli gemiti euforici al passare di cani e altri animali.
Non so perché Elisa ha prenotato la stanza in un albergo per ricchi e attempati golfisti, devo però riconoscere che la luce e la vista della sala colazioni era notevole, molto rilassante.
Siamo andati a sud, nella Contea di Wicklow, facendo varie tappe ed escursioni, attraversando il Sally Gap e visitando il celebre sito monastico di Glendalough, luoghi che per atmosfere e colori rappresentano perfettamente l'Irlanda che amiamo (io ed Elisa siamo stati già in Irlanda prima di conoscerci e poi, assieme, in Irlanda del Nord e pure in Scozia, anche qui in cerca di zone selvagge, castelli, scogliere e pub).
In serata siamo arrivati a Kilkenny, passeggiando fra le sue vie medievali prima di tuffarci in una pinta di Guinness.

GIORNO 3 - Corse, castelli e tori incazzosi

Anche questa mattina è stata dura staccare Ulisse dalla finestra del nostro B&B.
La giornata è iniziata con la visita a Kilkenny, entrando nel castello, passeggiando lungo il "medieval mile", perdendosi nei viottoli e finendo dentro le riprese dell'Harry Potter irlandese (o qualcosa di simile).
Elisa mi dice di attendere con Ulisse perché deve fare una foto. Attendo. Poi scopro che anche noi eravamo parte della foto. Insomma sembro in posa ma non lo sono.
Una foto è di ieri, me l'ero dimenticata ma mi piaceva e l'ho messa oggi, quella dove Elisa e Ulisse mangiano in un bosco, tipo Hobbit.
Nel nostro girovagare finiamo alla Rock of Cashel che, per forma e ubicazione, esibisce una imponenza notevole sul visitatore in arrivo.
Ulisse corre nel giardino a perdifiato, fermandosi solo per indicarci i tanti corvi in volo. Cerco un posto da cui riprendere e incorniciare il castello, ma finisco nel territorio di un toro incazzoso. Scatto al volo e non attendo di scoprire se hanno imparato a scavalcare i muri.
Alla sera arriviamo a Kinsale, sul mare, ceniamo da Dino's, il re del fish and chips.
Nella passeggiata post-cena scopriamo che si tratta di un paese delizioso, ma l'illuminazione notturna è trascurata, un po' come in tutto il paese. A domani!

GIORNO 4 - Manine, bauli e Wild Atlantic Way

Il B&B aveva un tavolino abbastanza alto da battezzarlo "piano anti-Ulisse", dove appoggiare gli oggetti che per un motivo o per un altro dovevano essere salvaguardati.
In mattinata abbiamo visitato per bene Kinsale, un paesino sul mare che avevamo sottovalutato, ma che di giorno ci ha sorpreso per le sue vie e i suoi colori, al punto di sembrare il set di un film.
A Kinsale inizia la Wild Atlantic Way, che nei prossimi giorni percorreremo fin su nel Donegal.
Il momento clou della giornata è stato l'attraversamento del Ring of Bara e dell'Healy Pass, dove abbiamo trovato quel senso di selvaggio e isolamento che ci ha spinto a organizzare questo viaggio e che ricercheremo nei prossimi giorni.
Stiamo fotografando molto, preferendo però non pubblicare le fotografie più intime. Al rientro in Italia però le stamperemo tutte.
Ovviamente Ulisse non ricorderà nulla di questi viaggi, è troppo piccolo, ma la speranza è che possano seminare e nutrire in lui la curiosità di scoprire, la voglia di viaggiare e il rispetto verso culture diverse.
Mi procurerò un bauletto dove conserverò i miei lavori fotografici, i diari fotografici e scritti dei viaggi di famiglia e tutti quegli oggetti che potranno un giorno raccontargli o ricordargli chi siamo io ed Elisa, quali passioni ci hanno guidato nella vita e quanto lui sia importante per noi.

GIORNO 5 - Può piovere per sempre

Oggi vento e pioggia hanno sferzato il Ring of Kerry tutto il giorno, con brevi pause illusorie.
Le Kerry Cliffs hanno segnato il punto di massima sorpresa. Se la pioggia aveva concesso una breve tregua, il vento ha esibito i propri muscoli, estremizzato il senso di vertigine che si aveva nello sporgersi a vedere il mare infrangere sugli scogli 300 metri più in basso.
Da questo punto erano osservabili le Skelling Island, diventate famose perché nell'isola più grande (Skelling Michael) hanno girato il finale di Star Wars VIII.
Considerando le condizioni estreme di quella landa, potevamo quasi udire l'eco delle imprecazioni di Luke Skywalker dopo esservi recato a fare l'eremita.
Ulisse ha iniziato la giornata riprendendo i suoi test di gioco a nascondino nel B&B. Più tardi ha corso su una spiaggia, giocando a non farsi prendere dalle onde sulla battigia. Ha osservato il paesaggio irlandese con la malinconia tipica di chi guarda attraverso un vetro bagnato dalla pioggia, concedendosi qualche pisolino ristoratore. Alla sera ha studiato bene il menù di un pub prima di optare per le polpette.
Domani continueremo la nostra salita a nord.

GIORNO 6 - Battigia, bimbi volanti e laghi glaciali

Oggi abbiamo visitato la penisola di Dingle, la più settentrionale delle cinque penisole che formano la "mano d'Irlanda".
I numerosi punti di osservazione, le spiagge, i laghi glaciali e i ruderi di chiese e castelli hanno appagato il nostro desiderio di Irlanda.
La presenza di turisti è stata maggiore rispetto ai giorni passati, privandoci quindi della contemplazione solitaria del paesaggio.
Ulisse ci ha confermato che ama la battigia delle fredde spiagge atlantiche, oggi peró non fuggiva più le onde, anzi, ci si sarebbe tuffato dentro (se non trattenuto) con la sua tutina e l'impermeabile verde, emulando alcuni ragazzini che entravano in acqua indossando però la muta subacquea.
Per lui tutto ciò che ha meno di 8 anni è un possibile compagno di giochi e va imitato se fa qualcosa di nuovo.
Ulisse è molto fisico. Mi abbraccia le gambe se lo sgrido oppure se fa il timido di fronte ad uno sconosciuto. Le volte che non vuole stare nel suo lettino, finisce col dormire appiccicato a me oppure a Elisa. A volte me lo ritrovo col viso accanto al mio, a volte si incastona fra il mio braccio e il busto e altre volte tenta di addormentarsi sopra la mia schiena.
Ora ha scoperto la disciplina sportiva del salto sul papà.

GIORNO 7 - Fantasmi, vascelli e pozzanghere

Quando ero piccolo lessi una raccolta intitolata "Fantasmi irlandesi", con racconti di scrittori del calibro di Stoker, Le Fanu e O'Brien.
Forse la ricordate, era un libricino della Newton "100 pagine a 1000 lire", con in copertina una figura in piedi, avvolta in un lenzuolo e con un lume fra le mani.
Quella lettura mi colpì come solo certi buoni racconti sanno fare con la mente di un quattordicenne curioso e alla ricerca di paure da sfidare.
L'Irlanda è un luogo che ha sempre ispirato storie e leggende sovrannaturali, si presta facilmente grazie alle sue brughiere nebbiose e gelide, alle nubi rapide che in pochi istanti possono far piombare l'oscurità nel più sereno dei boschi e al fango che appesantisce il passo e rende facili prede.
Tutto questo mi è venuto in mente stamattina, entrando in bagno e vedendo Ulisse che, nuovamente, giocava a nascondino dietro la tenda della doccia.
Dopo la colazione abbiamo lasciato il B&B con la pioggia ad accoglierci sull'uscio.
Nel nostro esplorare la Contea di Clare, ci siamo imbattuti nell'abbazia omonima, oggi abbandonata e sorvegliata da mucche timorose e con lo sguardo docile.
Più tardi abbiamo fatto tappa al Vandeleur Walled Garden a Kilrush, per consentire a Ulisse di sgranchirsi le ossa, cioè correre a perdifiato in lungo e in largo, saltando dentro tutte le pozzanghere sul suo tragitto e attraversando anche il labirinto di siepi.
Una volta cambiato, s'è concesso una calda e asciutta dormita in macchina.
Tornati sulla costa, abbiamo visitato Spanish Point, un paesino con una maestosa spiaggia frequentata da surfisti, che prende il nome dalla sonora sconfitta della Invincible Armada (la celebre flotta spagnola di fine 1500) nello scontro con gli inglesi e che, in questo punto, subì il colpo di grazia a causa di una possente tempesta che sancì il fallimento della spedizione spagnola.
In serata siamo giunti alle Cliff of Moher, le scogliere più famose d'Irlanda, rimandando però la visita al giorno seguente così da dedicargli il tempo e l'attenzione che meritano.
Il nostro nuovo B&B si trova a Doolin, un paesino minuscolo all'interno di un territorio così selvaggio e umido, a pochi passi dall'oceano, che mi domando come possa sopravvivere all'inverno.
Appena fuori la nostra camera c'è un accogliente salottino con una finestra da cui osservare rassicurati la pioggia e il freddo che si rincorrono nella brughiera.
All'alba del giorno seguente ci ho trascorso un paio d'ore, contemplando il paesaggio, sbrigando qualche faccenda fotografica, rispondendo a email e scrivendo le righe che avete letto fin qui.

GIORNO 8 - Moher, Burren e Dunguaire

Lasciato il B&B di Doolin, abbiamo fatto tappa alle Scogliere di Moher (Aillte an Mhothair, in gaelico, che significa "scogliere della rovina"), una delle mete turistiche più celebri d'Irlanda che, nel punto più alto, raggiunge i 217 metri d'altezza sull'oceano Atlantico!
Ovviamente l'idea di non visitarle il giorno precedente, per mancanza di tempo, e di dedicargli la mattina di oggi non aveva previsto la pioggia incessante e il vento gelido oceanico che hanno martellato i visitatori tutto il tempo.
Con Ulisse addormentato nel calduccio della macchina, io ed Elisa ci siamo alternati a visitare le scogliere che, con queste condizioni atmosferiche, ci hanno ben ricordato che con la natura non si scherza e forse proprio questa è la lezione pratica più importante che potessimo avere in quel luogo.
Per riprenderci dalle ore di pioggia e vento, abbiamo fatto sosta in un pub, riscaldandoci con la zuppa del giorno e risollevandoci il morale con la Guinness.
Ulisse, esperto nel fare danni imprevedibili, ha gettato una bustina di ketchup nella birra... ma, essendo appunto una Guinness, non ci saremmo fatti problemi a finirla pure se ci avesse gettato un calzino.
Dopo pranzo siamo ripartiti in direzione nord, entrando finalmente nel maestoso Burren, una distesa rocciosa e calcarea che diverse persone descrivono come somigliante alla superficie lunare.
L'ultima tappa di oggi è stato il castello di Dunguaire, che a livello di dimensioni risulta di poco conto, soprattutto se confrontato con la Rock of Cashel, ma la sua ubicazione, in mezzo ad un lago melmoso, lo rende affascinante. L'ultima fotografia di oggi mostra Ulisse nell'istante in cui diventa invisibile.

GIORNO 9 - Cani e cavalli in Connemara

Ulisse ha apprezzato molto il nostro ultimo B&B grazie alla grande vetrata che rendeva luminoso il salotto e soprattutto al cane che è passato a salutarci e che ha avuto la priorità rispetto l'asciugatura dei capelli dopo il bagnetto.
Il programma di oggi consisteva nell'ingresso nella Contea di Galway per attraversare il Connemara, una regione selvaggia e che affascina i tanti visitatori che vi passano.
Non bastasse l'aspetto paesaggistico, è pieno di cavalli e non solo mucche e pecore come nelle aree fin qui visitate.
A Roundstone abbiamo fatto sosta in un pub per goderci una zuppa calda e del pesce in compagnia di una cesenate che ha base li, anche lei profonda amante dell'Irlanda :)
Per consentire a Ulisse di correre abbiamo passato un'oretta nel parco del paese, dotato di altalene, scivoli e altri bimbi italiani.
Continuando a percorrere la strada costiera abbiamo osservato e camminato su spiagge maestose e terreni brulli interrotti da piccoli laghi con acque scure e minacciose.
Alla sera siamo arrivati a Cliften, dove abbiamo scaricato i bagagli all'Abbey Glen Castle Hotel (un castello vero e proprio, anche se risalente al 1800) e siamo tornati in paese per due fish 'n chips, Guinness e Bulmers, in un pub tipico, con musica dal vivo. Il massimo che si possa desiderare dopo un giorno di viaggio.

GIORNO 10 - Sky Road e Kylemore Abbey

Al mattino ci siamo concessi un giro in macchina in relax lungo la Sky Road che, col cielo sereno che abbiamo trovato, è una esperienza da provare.
Assaporando ogni curva morbida, osservando i muretti in pietra scura che tagliano i verdi campi e scorgendo a valle grandi laghi e isolotti ricoperti a volte di vegetazione e a volte di rocce avvolte nel muschio, abbiamo trascorso la prima ora di viaggio.
La destinazione principale di oggi, attraverso l'incantevole Connemara, era la Kylemore Abbey, anche perché avevamo intenzione di far correre Ulisse per tutto il tempo che voleva nei grandi giardini e spazi verdi all'interno dell'abbazia.
Il biglietto è costato 14 euro ad adulto, il più alto del nostro viaggio, ma ne è valsa la pena.
Nelle due ore trascorse alla Kylemore Abbey abbiamo visitato il Walled Garden: troppo fighetto per me e troppo ordinato per i gusti di Ulisse; il parco esterno al giardino, risultato più autentico e affascinante; l'abbazia e la chiesetta neo-gotica, all'interno delle quali è stato possibile scoprire la storia romantica e amara del finanziere e parlamentare inglese Mitchell Henry e della moglie Margaret Vaughan.
In serata siamo giunti nel nostro B&B disperso nei boschi irlandesi, godendoci pure un blocco della polizia dove che mi hanno chiesto la patente e l'hanno controllata in 5 nanosecondi, probabilmente una finta perché sui turisti non riescono a fare controlli in tempi rapidi e/o perché preferiscono non complicargli il viaggio.

GIORNO 11 - Downpatrick Head e la Regina dei Pirati

Oggi abbiamo ripreso la salita a nord, attraversando la maestosa Dolough Valley, dove abbiamo incontrato delle cicliste temerarie e alcuni cartelli che raccontavano la grande carestia che ha colpito l'Irlanda a metà del 1800 e che vide centinaia di persone morire nell'attraversare questa valle in cerca di cibo.
Nella Contea di Mayo abbiamo camminato sul promontorio sferzato dai venti di Downpatrick Head: una delle aree più spettacolari d'Irlanda, dove crepacci, scogliere e voragini improvvise sono sprovviste di protezioni e l'unica misura di sicurezza è il buon senso dei visitatori.
L'attrazione principale qui è il Dun Briste (in gaelico, il "forte rotto"), un pezzo di scogliera rimasto isolato in mezzo al mare.
Leggenda vuole che in questo sperone di roccia si fosse rifugiato, quando ancora era tutt'uno col resto della costa, un re pagano di nome Crom Dubh che rifiutava la conversione al cristianesimo ad opera di san Patrizio. Dopo vani tentativi il santo patrono d'Irlanda avrebbe toccato terra col bastone facendo crollare parte del promontorio e lasciando a morire da solo sul Dun Briste il re disobbediente.
La tappa successiva è stata una fiabesca torretta, residuo del Rockfleet Castle, a cui è legata l'avvincente storia di Grace O'Malley.
Nata intorno al 1530, in un'epoca in cui era naturale che la donna dovesse sottostare alla volontà altrui per esaudirne le aspettative e quando il corpo di una donna le apparteneva fintanto che la libido altrui non lo esigeva, Grace decise di deludere alla grande le regole e prassi che pesavano su di lei. La ricerca della propria felicità e realizzazione non sarebbe stata compatibile col mondo che la circondava e allora tanto valeva rovesciarlo.
Certo, essere la figlia di Owen Dubhdarra O'Malley, capo del Clan degli O'Malley, le diede carte buone nella vita, ma bisogna poi sapersele giocare.
La storia e la leggenda irlandese qui si fondono: si dice che da giovane Grace volle partire con il padre per un'operazione commerciale in Spagna, ma, quando lui le disse che non poteva perché i suoi lunghi capelli si sarebbero impigliati alle corde della nave, lei se li tagliò, costringendolo a prenderla con sé.
Nella vita si orientò con la stella polare nella navigazione e con un orgoglio spudorato nei rapporti umani.
Grace, nel tentativo di fare una visita di cortesia a Howth Castle, venne informata che al momento la famiglia era a cena e i cancelli del castello le furono chiusi in faccia. Per ritorsione, fece rapire il figlio ed erede del Barone, che venne rilasciato sotto la promessa di tenere i cancelli sempre aperti ai visitatori inaspettati, e di mettere un posto in più durante ogni pasto. Ancora oggi questo accordo viene mantenuto dalla famiglia dei St. Lawrence, proprietari di Howth Castle.
Negli anni seguenti incontrò Elisabetta I, quando ormai l'Irlanda era sotto il dominio inglese, ma questo non la privò della spavalderia di non riconoscerla come propria regina e di "sfidarla" infrangendo alcune regole durante l'incontro formale, compreso il presentarsi armata di coltello.
Grace O'Malley ha ispirato tanti libri e canzoni, venendo citata anche in film e telefilm, come simbolo di donna indipendente e avventurosa, soprannominata Regina dei Pirati.

GIORNO 12 - Uomini, mare e Yeats

La giornata di oggi è stata all'insegna degli incontri con persone e soltanto nell'ultima parte ci siamo concessi un po' di sana contemplazione solitaria dei grandi paesaggi irlandesi. Al mattino abbiamo fatto tappa al molo di Easkey dove ho notato una famiglia intera impegnata a tuffarsi ripetutamente in mare.
A primo impatto li ho trovati interessanti perché avevano le caratteristiche tipiche che mi aspetterei dagli irlandesi (o comunque da chi vive nel Regno Unito): capelli rossi, lentiggini, sguardi severi e ginocchia segnate da croste, poi mi ha affascinato la massiccia autoironia contrastata da improvvisi ordini perentori, come quello della madre che non accettava che la figlia non trovasse il coraggio di tuffarsi.
Alla fine li ho conosciuti e sono riuscito anche a scattare un rapido ritratto di famiglia, perché percepivo comunque di essere una interferenza in un contesto meraviglioso perché spontaneo.
Continuando lungo la costa nella Contea di Sligo, ci ha colpiti il Beach Bar in mezzo al nulla di una spiaggia, ma nonostante questo pieno di avventori. Ci siamo scaldati con due zuppe di verdure e rinvigoriti con due Guinness, mentre Ulisse faceva scorpacciata di yogurt greco e mirtilli freschi.
Nel pomeriggio siamo arrivati a Strandhill, dove la spiaggia omonima è famosa per attirare tanti surfisti. Mi sarebbe piaciuto fare qualche ritratto ma non c'è stato il tempo, stare dietro a Ulisse è un lavoro a tempo pieno, così abbiamo fatto lunghe passeggiate sulla sabbia per poi concederci un gelato nel paese, pieno di visitatori essendo domenica.
Più tardi ci siamo diretti verso Sligo, passando attraverso il Benbulben e il Knocknarea, due alture molto particolari che ricordano certe forme del Grand Canyon americano, pur essendo ricoperte di vegetazione, ma che risaltano essendo nel bel mezzo di una pianura sul mare.
Si tratta di un giro di mezz'ora in auto eppure in pochi istanti ci siamo ritrovati lontani dalla civiltà e immersi in un paesaggio inquietante quanto affascinante, con boschi morenti e la pianura che si inclinava di quasi novanta gradi per raggiungere la cima delle due alture.

"[...] Sotto la vetta spoglia del Benbulben
nel cimitero di Drumcliff è sepolto Yeats.
Uno dei suoi antenati ne fu parroco
anni e anni fa; una chiesa si erge lì vicino;
presso la strada v’è un’antica croce.
E niente marmo, niente frasi convenzionali;
sul calcare scavato in quello stesso luogo queste parole sono state incise per sua volontà:
Getta uno sguardo freddo
Sulla vita e sulla morte.
Cavaliere, prosegui il tuo cammino!"

GIORNO 13 - Alture, cimiteri e vacche illuminate

La giornata di oggi è stata caratterizzata dalle sensazioni e intuizioni di qualcosa che va oltre la propria percezione.
Non credo a queste cose, non ascolto le religioni, non temo i fantasmi, non mi preoccupo se siamo in 13 a tavola e rido se qualcuno minaccia un malocchio, ma ogni tanto mi piace lasciarmi andare e mettere in stand by questo mio aspetto.
Stamattina è successo.
Abbiamo nuovamente girato attorno al Benbulben, l'altura che si trova nei pressi di Sligo, per ammirarne la forma singolare, le cicatrici dovute ai tanti fiumi istantanei che nascono con la pioggia a causa del l'inclinazione vertiginosa delle pareti, la foschia che ne avvolge sempre la parte superiore e per un attimo abbiamo pensato quanto sarebbe facile, specialmente per chi fosse vissuto secoli o millenni fa, vedere in quella forma qualcosa di divino, domandarsi quali esseri vivano lassù, perennemente nascosti dalle nubi, e come assecondarne la volontà: modificando le coltivazioni o addirittura pensando a sacrifici.
Finito il giro ipnotico, siamo tornati alla realtà e al bisogno di una tazza di caffè.
Il nostro viaggio sta volgendo al termine e quindi abbiamo abbandonato la Wild Atlantic Way per avvicinarci a Dublino.
Le ore alla guida sono trascorse con la malinconia di chi rivive internamente e metabolizza la bellezza di un viaggio e la straordinaria esperienza che ha vissuto e la loro conclusione.
Prima di arrivare ad Athlone, dove passeremo la notte, abbiamo fatto una sosta all'Abbeyshrule Cistercian Abbey e al cimitero adiacente per far passeggiare uno scalpitante Ulisse (in Irlanda e non solo è normale passeggiare o sedersi sull'erba nei cimiteri, che sono quindi vissuti e rispettati dai vivi; non sono luoghi esiliati e ai margini della società dove nessuno vorrebbe finire).
Qui è successo qualcosa.
Giunti all'angolo nord del cimitero, erano ben visibili i ruderi dell'imponente abbazia e delle mucche che sembravano meno timide del solito e che, a differenza di quanto detto scherzosamente giorni fa, sembravano veramente le custodi di qualcosa di profondo, non dimenticato, ma appartenente ad una diversa cultura e credenza, verso cui puoi portare solo un rispetto e silenziare la tua incapacità si comprendere.
Prima di andare via le nubi si sono aperte e i raggi del sole hanno reso ancora più surreale l'atmosfera del luogo.
A quel punto, per proteggere la mia diffidenza e terminare quella suggestione, sono tornato al volante.

GIORNO 14 - Sterco fumante, barche a remi e Coca Cola

Oggi è stato l'ultimo giorno in Irlanda. Avendo il volo alla sera e dovendo raggiungere Dublino con un paio di ore alla guida, la giornata ha concesso poche divagazioni.
La principale ha riguardato la foresta di St. John e Rindoon, un villaggio abbandonato risalente al 1200, con tanto di castello, nella Contea di Roscommon. Per raggiungerlo sarebbe bastata una passeggiata di un paio di chilometri in mezzo ai verdi prati, agli affascinanti muretti in pietra... e a quintali di sterco di vacca.
Non fosse bastata la pioggerellina che con i suoi tanti aghi ha punzecchiato i nostri volti tutto il tempo, ci siamo trovati a fare lo slalom fra mastodontiche cagate fumanti di mucche che, a breve distanza, ci osservavano con sguardo sornione.
Ad un certo punto ci siamo arresi al fango e alle intemperie, tornando alla macchina.
All'aeroporto ci siamo "goduti" le due ore di ritardo del volo, che almeno ci hanno permesso di far camminare Ulisse (e di fargli scoprire che la Signorina Coca Cola non è affatto male), fino a stancarlo e riuscendo così a farlo dormire quasi per tutta la durata del volo aereo verso Bologna.
Il viaggio si era concluso già ieri, in realtà, comprese le profonde e malinconiche riflessioni del caso. Oggi è stata una giornata puramente di viaggio noioso e dettata dal desiderio di tornare alla routine, ordinare le borse e gettarsi a capofitto nei progetti, nelle proposte, negli shooting lasciati prima di partire e in altri che si sono aggiunti in questi giorni.